“Figlie del ’68 – La strada per diventare adulte” di Nadia Chiaverini
Essere protagonisti della vita attraverso la nostra consapevolezza
La strada per diventare adulte
Ecco uno spaccato interessante della fine degli anni 60 nel nostro Paese, un periodo che ci viene restituito attraverso una coralità di voci – i lettori di oggi che fanno parte di quella generazione – convergenti nel personaggio femminile del racconto di Nadia Chiaverini.
Il testo offre una preziosa possibilità di riflessione per tutte e per tutti, grazie alla costruzione narrativa fluida e documentata che ne fa la scrittrice.
Figlie del ’68 di Nadia Chiaverini
Supina sul letto, quasi soffocava con la faccia premuta sul cuscino, le mani che tamponavano le orecchie, per non sentire le urla di quelle due galline starnazzanti, anzi due streghe, provenienti dalla cucina.
-Tanto, che credi, l’ho cresciuta io… è più figlia mia che tua…
-Oh bellina, e io che sono andata in fabbrica perché in due non si poteva stare in questa casa, e così ho portato i soldi a casa …
E sempre di continuo di questo passo, almeno un giorno sì e l’altro pure.
E lei che si sentiva un ostaggio di entrambe, due mamme nella stessa casa erano davvero troppe, e accontentarle poi…In realtà non le veniva chiesto nient’altro: essere brava a scuola, e non deludere i genitori.
Tanto che quando iniziò la prima simpatia con un ragazzino appena un po’ più grande, improvvisamente si era sentita colpevole, un segreto che non poteva condividere, come se fosse una cosa troppo grande, che sporcava l’immagine di perfezione, asettica, che loro volevano da lei. Il Babbo: -Io do sempre la mia fiducia piena, ma quando uno mi delude…allora, via! Un taglio netto, e per me è come morto…
– Fintanto che i figli abitano nella mia casa, fanno quello che dico io, sennò quella è la porta.
-Una volta varcata la porta non si torna indietro
– Quando si dà una parola è quella. – Le promesse vanno mantenute. – Gli orari vanno rispettati
E via di questo passo. Moniti ricorrenti. – Non mi deludere sai, basta una volta, e allora la fiducia è finita…E mentre la Mamma andava al lavoro, la Nonna accudiva alla casa, il Nonno arrotondava il salario con la pesca, e il Fratellino cresceva già più libero di lei.
Si sentiva in gabbia, ma con la porta leggermente dischiusa.
Che fare per uscire da questo impasse? Leggere, non c’era altra strada, diventare grande, e imparare più in fretta possibile. Le regole da rispettare non erano poi molte, ma scandite bene nella mente.
Studiare, capire, per farsi spazio, diventare persone autonome e sicure di sé, capaci di infrangere un sistema familiare apparentemente idilliaco, in realtà percepito come perbenista e oppressivo.
Erano gli anni 70, gli operai scioperavano, gli studenti occupavano le università, si respirava un’aria nuova, di rivolta, anche per noi, le Bambine. Ma c’era una cappa che ci imprigionava, doveva essere infranta: un muro invalicabile, quella rigida separazione tra maschi e femmine, quel sentirsi diverse, confinate, ristrette. Per esempio, non potevamo andare a scuola da sole, come facevano i maschi, e il pomeriggio, era vietato giocare con loro, se non di nascosto, a “ciare”, piste con i tappini, trottole di legno. Invece, a scuola la mattina, durante la ricreazione, era un gran daffare di bigliettini, rossori, sguardi ammiccanti. E finalmente, una volta passati alle medie, i Luna Park in piazza, le autoscontro e i “calcinculo”, i seggiolini che volavano in alto spinti dalla giostra, le prime libertà assaporate. E quell’idea rivoluzionaria…conquistare la Prima Liceo, ecco la strada per diventare Adulte!!