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Quel nocciolo bianco dell’anima…

È il nocciolo bianco dell’anima. Un silenzio. Uno stare soli con sé. Lì in mezzo o in un punto del cosmo trascinare le nostre chiassose storie, il rumore che alziamo con i nostri passi. Gettare tutto, come in un gioco con i dadi, x fare di quel groviglio l’impossibile da distruggere:un ossicino minuscolo che resiste. Un punto che si chiama luce. Puoi trovarlo anche fuori da te. In una persona in cui brilli la solitudine. Questo l’incipit di un pensiero, a proposito di una zona incontaminata dentro noi stessi o visto riflesso in altri, un pensiero che torna di tanto in tanto e che mi offre l’occasione per una riflessione più ampia sulla solitudine desiderata o imposta dalle circostanze.
Quante di noi se ne stanno sole, per volontà, ricerca, o proprio perché vivono da sempre un’esistenza fatta di monologhi, dialoghi tra sordi, con uomini che, appena proferisci parola, ti liquidano, con una carezza veloce se va bene. Questa mattina ho ripensato a un odore di vento e di iodio, alle passeggiate settembrine e ottobrine a Caorle, con Silvia, la mia amica di “respiro di mare”, di discorsi alla ricerca di noi stesse.Perché sapersi leggere, capire quando le cose non vanno, interpretare gli umori e gli atteggiamenti di chi ci vive accanto, intuirne i segreti, necessita di un vero ascolto dell’altro.Il tempo non è mai quello giusto per fermarsi e riflettere. Bisogna volerlo.Per me il momento giusto da alcuni anni è la mattina al risveglio nel mio giardino pensile, tra le piante della serra, i libri disposti dentro a vasche per tartarughe, trasformate in teche-librerie e la magnolia alta e imperiosa del piccolo spazio di verde del condominio. La guardo dal tavolino in pietra a mosaico azzurro e bianco. Mentre faccio colazione, col freddo, accendendo la stufetta, d’estate con un ventilatore a piantana, mi abbandono agli occhi della magnolia, mentre i miei scivolano tra le sue foglie e le sue radici in cerca di risposte. Poi leggo, a volte rapita dalle parole che sottolineo e che inanellano pensieri, per diventare altro dal racconto che sto leggendo. Già dallo scorso inverno non tornavo più nella mia serra, mi rintanavo in cucina in uno spazio più appartato, rispetto al tavolo dove si mangia a pranzo e a cena, un angolo creato apposta. Che avessi intuito quello che sarebbe arrivato di lì a poco? So per certo che ho voluto rompere la “vacanza”, nel senso di assenza e privazione dall’Eden che mi sono costruita in questi anni, tornando lì a prima mattina; un atto di volontà per riprendere me stessa da dove mi ero lasciata.
Marina

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