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Ostinato in falso bordone

Ostinato in falso bordone

Adoro 

le feste e il loro tempo vuoto

con quel fare che 

di norma 

non si fa:

lasciarsi andare

al piacere del sonno la mattina, 

della veglia fino a tarda sera, 

dei pensieri della notte 

che sbocciano da un libro, 

da un film, 

da una musica.

Sedersi sul divano e mettersi a cantare,

con mia figlia

che ha voglia di suonare, 

stare a conversare

anche per un’ora

con le amiche

al telefono.

Adoro il tempo in cui

posso uscire 

a camminare

e non tornare 

fino a buio,

stare a tavola a spalmare

un panino

di burro e marmellata

ascoltando

la radio. 

Adoro il vuoto

da riempire

con parole

scritte su una carta, 

queste parole

che sto scrivendo

ora. 

Adoro l’incanto

del canto

in cui si sta davvero

insieme: 

la mia voce 

con la tua, la tua sorregge 

la mia. 

Odio le feste

con le loro rituali promesse, 

che aspettano incontri

con la solitudine:

svegliarmi al mattino

per notare

ancora un altro giorno

senza un caffè preparato, 

senza potermi mai davvero

lasciare andare, 

se non al sonno

sul divano,

per poi dovermi alzare

con le mie sole forze, 

a trascinarmi stanca 

sul mio letto vuoto. 

Odio le feste, 

a rincorrere la felicità

degli altri, 

ad elemosinare un gesto

di gratitudine sincera

se non intanto 

per la mia presenza. 

Odio le feste

che sono sforzo

di allegria, divertimento

e compagnia, 

dietro a quel muro di vetro

da cui non riesco

a farmi leggere dentro. 

Odio e adoro. Com’è possibile, ti chiederai? 

Non so. Sento che accade

e mi struggo. 

(E mi sovvien Catullo 

e le morte poesie

e la presente e viva

che è la mia!)

Martina Ferraboschi

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