Volti di donna: la mia Colette
Volti di donna, la nuova rubrica del Martedì
La mia Colette
di Marina Agostinacchio
Questo avrebbe dovuto essere, un anno fa, un viaggio, un po’ inedito, intorno alle donne.
L’idea nacque leggendo “La vendetta delle Muse”, un libro di Serena Dandini a cui vale davvero la pena di accostarsi.
Molto spesso lascio le cose appena incominciate perché la mente oscilla di continuo tra mille sollecitazioni di scrittura, lettura, cucina, spostamento di mobili di casa, passeggiate sull’argine, incontri con amiche… e il blog (ormai ha compiuto cinque anni!) che richiede cura.
Riprendo ora in mano un quaderno, uno dei tanti – (eh, sì, scrivo ancora sui quaderni che mi vengono regalati dalle amiche) – e trovo una pagina su uno dei personaggi femminili del libro della Dandini.
Colette.
Colette è lo pseudonimo di Sidonie-Gabrielle, nata a Saint-Sauveur-en-Puisaye, (Borgogna) il 28 Gennaio 1873.
Colette mi appare subito terribilmente vivace nella descrizione che ne fa Dandini: “Una montagna di capelli ricci che le arrivavano ai fianchi, un naso importante e una curiosità insaziabile”.
In questa immagine di diciassettenne, mi rivedo ragazza dai capelli ricci, neri, non però lunghi ai fianchi, con il naso pronunciato come una beffa al mondo circostante, dedalo di percorsi da volere intraprendere, al centro di una via con improvvisi cartelli direzionali di fronte ai quali c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ma perché proprio su Colette si sofferma la mia attenzione?
Definirei Colette una “spudorata”, una donna libera da preconcetti.
E mi domando se io, tu, ognuna di noi abbia mai avvertito l’intima spinta a volersi lanciare in un vuoto, completamente noncuranti del giudizio altrui.
A quante di noi sarà capitato, nella propria vita, di volere fare esperienza anche di una sola delle situazioni avventurose di Colette?
Allora, provo a vestire i panni di Colette, ad essere Colette spregiudicata, con l’occhio rivolto a qualche episodio di vita anche solo costruito con l’immaginazione.
Sardegna, Luglio 1994. Durante una lunga camminata per raggiungere due calette tra scogli di mare del nuorese.
Arrampicata tra rocce… salite… discese… ed ecco apparirmi una baia dalle sfumature verde-violaceo.
Mi chiama.
Avanzo verso l’acqua.
Mi immergo.
Abbasso il costume e rimango di pelle, di seno, di vibrazione, di anche, di piedi… tutta nel mare.
Colette che fa la ribelle al divieto, all’imbarazzo del marito che intanto suona parole di opposizione a quel gesto “sconsiderato”, in mezzo alla baia sola, abbandonata al canto del mare.
A ben guardare l’episodio, dopo quanto accaduto, la sensazione avuta è stata intimo-visiva: un tappo di champagne che esplode libero nell’aria, un gatto che sguscia tra vicoli di strada, uno svestire d’ abito destinato a una serata importante per infilare jeans e maglietta in cui meglio riconoscevo il mio essere d’indomita ragazzaas, dal “Bel-Gazou”.