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UNA PER MILLE Romanzo

CRISTINA BOVE UNA PER MILLE Romanzo prefazione di Franco Romanò FusibiliaLibri
Immagine di copertina: Voli e vele, opera dell’autrice.

https://www.ibs.it/per-mille-libro-cristina-bove/e/9788898649365

PREFAZIONE
Franco Romanò
L’uomo nero era il carbonaio del fondaco di via San Gregorio Armeno.
L’incipit indica in modo perentorio qual è il setting del romanzo: siamo a Napoli, in un
luogo celeberrimo della città, ma forse non propriamente contemporaneo, leggendo
quello che segue:
Viveva nella stalla con i cavalli alti e neri, sempre a masticare biada con la testa nel sacco. Lui invece
il sacco lo portava sulla testa a fargli da cappuccio fino alla schiena. Sua moglie, guercia e butterata,
vendeva il ghiaccio tritato in un grottino seminterrato.
Il rimando a un tempo trascorso sembra immetterci nel solco del romanzo storico, o
d’ambiente, assai frequentato nella narrativa recente e persino nel cinema, che ha
abbondantemente saccheggiato l’humus partenopeo in tutta la sua estensione. La storia
è presente in questo romanzo, ma l’immagine così netta che sembra trasparire dal
brano di cui sopra si dissolve nel seguito della narrazione in tanti rivoli, fino a rarefarsi,
per poi tornare nell’immagine finale e globale del romanzo che chi legge ritrova alla
fine del viaggio, ma solo dopo avere girato al largo e in tondo, come in una realtà fatta
di cerchi concentrici che si dilatano in diverse direzioni.
Se pensiamo a Napoli e specialmente se la vediamo attraverso il filtro di certe narrazioni molto celebrate e altrettante pellicole recenti, ci viene un mente una realtà molto
solida, dai tratti espressionisti, dai colori e dagli umori forti che ci restituiscono una
realtà che si pretende a tutto tondo, nel bene e nel male e che talvolta – diciamolo –
rischia pure di travasarsi nel folklore. Nel romanzo di Cristina Bove, invece, le diverse
tessere del mosaico sembrano incrinarsi e poi distaccarsi l’una dall’altra per fluttuare su
una superficiale liquida che ci ricorda, che Napoli, fra le molte cose, è anche una città di
mare. La scelta stessa di intitolare in un modo diverso da quello usuale, accentua anco
più tale sensazione. I capitoli di questo romanzo, infatti, sono altrettanti incipit, ognuno
di essi indica diversi percorsi, in cui Napoli è un luogo di transito piuttosto che di
partenza e di arrivo. Entrano così in scena diversi personaggi: due bambine, una madre
che sta morendo, giovani donne che si fidanzano, le letture di una generazione e la
musica a trecentosessanta gradi, qualche crimine vero o immaginato sullo sfondo, i
corsi di scrittura – ahimè! – visto che tendono tutti a omologare verso un dettato
medio e discretamente asettico! Tuttavia l’autrice o chi parla per lei in questo frammento sembra esserne consapevole se scrive:
Avrebbe voluto scrivere di adesso, di questo tempo in stallo, ripiegato come gli scialli sulla testa degli
antichi costumi delle donne campane. Un tempo nevicato sui capelli. Voleva raccontare di storie webali,
di amori nati e morti in pochi mesi. Una sequela di vicissitudini da banco.
L’ho dissuasa.
Un mondo di donne dove gli uomini stanno sullo sfondo. E poi i luoghi: Roma, Tunisi,
la Costa Rica, la Maremma Toscana e Israele.
Un romanzo corale e nomade dunque? L’autrice lo suggerisce e al tempo stesso lo
nega: infatti nessuna di queste storie arriva a una vera conclusione, ma s’intrecciano e si
perdono, ritornano dopo un inabissamento carsico, i personaggi ricompaiono ma
nessuno e niente arriva a una vera conclusione, pur nello trascorrere del tempo. E di
chi sono poi gli Interludi, i frammenti lirici in corsivo che sono fra le parti più belle
dell’opera? Riflessioni dell’autrice che si pone dall’esterno come narratrice onnisciente,
oppure frammenti di riflessioni di questo o quel personaggio? Probabilmente entrambe
le cose, ma dopo un po’ chi legge non ci fa più caso perché si è attirati dal fluire di tali
frammenti, dal loro intrecciarsi con le storie sospese. Narrazione e riflessione sul
presente e sul passato s’intersecano e si confondono e continuano fino a dire:
Per concludere le suggerirei una deviazione, una delle tante che costellano la quotidianità, la sosta nelle
piacevolezze dei sensi, il gusto di un buon caffè, la carezza sul viso di chi si ama, l’ascolto di una
buona musica, l’osservazione di un’ape nel cuore di una rosa, un soddisfacente incontro d’amore. O
anche starsene nell’ozio e nel silenzio. Ad ascoltarsi battito e respiro, a sapersi nel luogo senza luogo,
intenta a percepirsi viva di sangue e umori. Viva.
— SOLUZIONE DI CONTINUITÀ —
Proprio le tre parole finali che sembrano extra testo, ci suggeriscono invece l’idea di
una continuazione del flusso e anche di una Napoli che, da luogo chiuso e anche un po’
claustrofobico presente in altre narrazioni, diviene via di mezzo, che accoglie e si
espande, come è peraltro nella sua vocazione storica di città frontiera fra mediterraneo
e oriente, migrazioni transatlantiche e ritorni.

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