Una felicità nascosta
Quando trentasette anni fa attendevo mia figlia, gli uomini mi guardavano per strada. Erano anziani, tipici siciliani che passeggiavano in gruppo e pensionati. Mi meravigliavo, alcuni mi fermavano, dicevano parole affettuose. Io andavo alla Standa, cercavo il fresco e attendevo mio marito sotto i soffioni dell’aria condizionata. C’erano specchi, avevo capelli lunghi e neri, avevo pure il mondo in testa e in mano. Quando partorii era una domenica di sole novembrino, suonavano le campane e stavo con una bimba nelle braccia. Poi tutti guardarono lei in carrozzella, due occhi di vetro azzurro, il rosa del volto, i riccioli piccoli e chiari. Il tempo che ci avrebbe visto non più vicine era lontanissimo, dovevo ancora diventare invisibile, avere una zazzera grigia, la schiena rigida. Dovevo perdere. Lei adesso ha il sogno negli occhi, cammina per le strade della città che ho tanto amato, non tornerà più qui. Le chiese restano le stesse, le campane suoneranno anche oggi, le sentirò solo io. Lei in una Milano piegata, in questo 21 novembre. Il suo giorno di nascita. In casa, col senso del niente e la paura è il dolore per gli altri
Stanotte l’ho sognata. Camminavamo per le strade di Ragusa , lei vicina a me. Io che non avevo nulla, che potevo passeggiare… una felicità nascosta, i suoi capelli ricci, le vetrine piene. Era lei così come è davvero, poco entusiasta di questa nostra città , dei luoghi, però mi ascoltava. C’era come una luce e poi un’ombra. Le strade e tutto. I libri, le nostre parole consuete. Serene. Serene eravamo
Letizia Dimartino