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Un martedì particolare : Note di lettura sulla poesia di Patrizia Cavalli

Su Patrizia Cavalli:-Da il Cielo (1981) alle Poesie ( 1992)- di Patrizia Gnarra

Introduzione di Marina Agostinacchio
Camminando per tracce d’Elegia

Un’occasione di lettura, questa della scrittrice Patrizia Gnarra che ci guida a percorrere alcuni testi della poetessa Patrizia Cavalli seguendo la linea di “quel filone elegiaco trattato e rinnovato da maestri quali Virgilio, Petrarca e Pascoli”. Ma non solo, Patrizia Gnarra ci dà la possibilità di scoprire nei versi della Cavalli modi e forme di una poesia composta, attenta alla misura di ritmo, rima, assonanza, figure retoriche sul modello dei suoi maestri; un rigore compositivo ch non prescinde da temi esistenziali-filosofici che sottendono ogni testo analizzato.
Dunque, ci indica la Gnarra, le liriche della Cavalli proposte si aprono ai nostri occhi “così liberamente improntate nella forma e nel contenuto al modello dell’elegia” e quel “bagliore lirico” che ci coglie improvviso, può essere scrutato “in un tessuto lessicale basato sul registro prosaico del quotidiano”

Patrizia Gnarra
-Da il Cielo (1981) alle Poesie ( 1992)-

In certi pomeriggi d’estate, complici una breve conversazione informale via chat, il ritmo sincopato del cicaleggio insieme alla lenta arsura di fiori selvatici si può provare a ripercorrere attraverso la limpidezza del metro di alcune poesie della Cavalli, scritte tra gli anni ’80 e ’90, quel filone elegiaco trattato e rinnovato da maestri quali Virgilio, Petrarca e Pascoli.
Si può immaginare allo stesso tempo cosa sia stata quella rilettura dei classici (inclusa l’elegia ellenistica) che va di pari passo con la composizione di alcuni testi poi confluiti nelle raccolte sopraccitate.
Ne costituiscono la prova più convincente alcune liriche dell’autrice così liberamente improntate nella forma e nel contenuto al modello dell’elegia.
Prendiamo pure dalla raccolta Cielo la poesia “Adesso che il tempo sembra tutto mio”; qui l’uso del distico elegiaco, rivitalizzato a suo tempo dallo stesso Pascoli (si veda in “X Agosto”), sta sia nella forma duale delle coppie di versi (ottonari, novenari, decasillabi) sia nel contenuto. Nello specifico i temi predominanti sono quindi l’assenza di un amore (e il dolore che ne deriva), la solitudine e la morte.
Ma alla trama raffinata di rime alterne di ascendenza pascoliana si predilige una rima scompagnata per così dire, il rimando a quasi assonanze (guardare/ scolora; gatto/ tetto), a rime in lontananza ( esplorazione/ ragione; lunghezza/ dolcezza).
Inoltre si noti l’approdo misurato ad alcune figure retoriche come il ricorso al tema centrale dell’elegia erotica ellenistica mediata dall’opera virgiliana.
Dunque la sinestesia “l’accecante dolcezza di un corpo” conferisce qualche bagliore lirico in un tessuto lessicale basato sul registro prosaico del quotidiano, diversamente la metafora della prigione chiude il gioco del ritornello ossessivo incentrato sul tema del tempo (adesso), richiamando la salvifica morte quale esperienza conchiusa nella sua perfezione.

“Adesso che il tempo sembra/ tutto mio/ e nessuno mi chiama per il / pranzo e per la cena, / adesso che posso rimanere a/ guardare/
come si scioglie una nuvola e/ come si scolora,/ come cammina un gatto per il/ tetto/ nel lusso immenso di una/ esplorazione, adesso/ che ogni giorno mi aspetta/ la sconfinata lunghezza di una/ notte/ dove non c’è richiamo e non/ c’è più ragione/ di spogliarsi in fretta per/ riposare dentro/ l’accecante dolcezza di un corpo/ che mi aspetta,/ adesso che il mattino non ha mai/ principio/ e silenzioso mi lascia ai miei progetti/ a tutte le cadenze della voce, adesso/ vorrei improvvisamente la prigione.

Di influenza più petrarchesca è il componimento tratto dalla silloge Poesie, “Bene, vediamo un po’ come fiorisci”.
Oltre allo schema formale e contenutistico dell’elegia, la poetessa sfodera nel ritmo cadenzato una trama di ripetizioni, anafore, metafore, a cui si accompagna l’uso calibrato, attraverso l’antitesi e l’accostamento, di verbi e aggettivi, sinonimi e contrari (languida/ violenta; infracidisci/ insecchisci).
Questa valenza petrarchesca di matrice musicale si riflette anche nel nucleo contenutistico: l’amore dato nelle sue forme di duello fisico, destinato poi a sfiorire nella dialettica con l’altro, porta con sé in qualche modo l’eterno dissidio tra l’io terreno e quello iperuranio.

“Bene, vediamo un po’ come/ fiorisci, / come ti apri, di che colore hai i/ petali,/ quanti pistilli hai, che trucchi/ usi/ per spargere il tuo polline e/ ripeterti,/ se hai fioritura languida o violenta,/ che portamento prendi, dove/ inclini, / se nel morire infracidisci o/ insecchisci,/ avanti su, io guardo, tu / fiorisci. /

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