Poesia! Martedì da non perdere
Introduzione di Marina Agostinacchio
Il libro L’ALBERO DELL’INFANZIA, editore Il Convivio, è una raccolta di poesie che merita davvero di essere letta. L’albero, simbolo pregnante di un universale archetipo, ritorna nella scrittrice come immagine e voce che chiede di essere ascoltata perché vive nelle forme di un passato felice. L’albero assume una valenza mitica, il mondo incantato, un epoca d’oro lontana, eppure presente con prepotenza nei versi densi e ricchi di metaforici chiaroscuri, bilanciati in visioni antitetiche per un appolinno e un dionisiaco ritrovarsi.
Ecco due testi
Meduse danzanti e animali senza letargo nei miei sogni
che non vogliono rimanere schiacciati nell’io rigoroso e potente,
l’incubo proviene da pelle consumata in un delirio nel sonno.
Il mio sogno migliore è riscoprire la primavera con l’entusiasmo dell’amore appartato dalle voci senza cigolii di bocche,
senza unione di semi con affinità.
Ma in realtà la primavera
è la stagione in cui i morti resuscitano e i vivi piangono lacrime.
Il divino risiede nelle creature
con una timidezza che vorrebbe esplodere e rifinisce l’anima con la generosità intatta dell’universo.
Ho capito che nei bambini attecchisce il genuino equilibrio
di correggere le imperfezioni di carattere, di comprendere difetti e mancanze.
Ho imparato che i fondali marini sono gli omonimi dei cieli notturni
e i miei occhi le corrispettive luci del buio.
(Ho imparato) con l’esperienza che il corpo racchiude
un terribile urlo d’anima fagocitandolo.
«E se anche tu ti ritrovassi in una prigione, non ti rimarrebbe forse la tua infanzia, quella ricchezza squisita, regale, quello scrigno di ricordi? Cerca di far emergere le sensazioni sommerse di quell’ampio passato; la tua personalità si rinsalderà, la tua solitu- dine diverrà più ampia e diverrà una casa al crepusco- lo, chiusa al lontano rumore degli altri», così scriveva Rainer Maria Rilke nella sua prima lettera in risposta al giovane poeta Franz Xaver Kappus. Tale espres- sione dello scrittore boemo contiene una verità uni- versale, che proprio in quegli anni, agli inizi del No- vecento, la psicoanalisi stava scoprendo, ponendo l’infanzia quale giardino edenico (o fonte di traumi) da cui scaturisce la formazione dell’individuo. L’in- fanzia, che si presenta quale insieme di ricordi e di emozioni, vividi o sfocati, belli o brutti, e l’amore verso la natura (siano essi alberi, animali, fiori o ambienti), appaiono già di primo acchito gli elemen- ti essenziali della poesia di Eloisa Ticozzi, come si evince dal titolo, L’albero dell’infanzia, che conduce il lettore a quello che è per ogni essere umano forse il periodo più bello e favoloso in rapporto ad uno scialbo presente, inducendo ad un scandaglio del proprio Sé e assumendo una grande valenza simbo- lica nel voler credere in un mondo migliore e più a misura d’uomo.
Angelo Manitta