Martedì, per la rubrica “Tutto capita d’improvviso”, Marina Petrillo in una luminosa pagina donata a tutte/i noi.
Teneri e al contempo possenti i versi e le parole rivolte dalla scrittrice Marina Petrillo a Gabriele Galloni, giovane scrittore romano, definito come uno “dei migliori poeti della sua generazione”, morto a soli 25 anni.
Gabriele “Caduto fuori dal tempo”, (e qui penso al libro, dedicato al figlio, di David Grossman, alla ricerca di un modo per raggiungerlo, oltrepassando la terra dei vivi confinante con l’oltre), può essere raggiunto da Marina solo lasciando che la poesia torni a vibrare nell’intreccio di versi rievocati e nella limpida scrittura di rimando della stessa Marina.
La morte, così, pare potere essere azzerata, solo attraverso la forza della parola.
“Ma non ha raggiunto un amore
l’altissimo grado, se ancora
ha cura di non essere veduto
(Cristina Campo)
“Non so se fu realtà o se fu visione
quello che vidi in una sera estiva”
Lessi le tue poesie in una sera d’estate. Venisti a trovarmi, Gabriele, attraverso l’inganno del tempo.
Ci consolammo nel dirci addio. O forse fu sulle rive di un mare ferroso, dove “i morti tentano di consolarci/
ma il loro tentativo è incomprensibile/ sono i lapsus, gli inciampi/l’indicibile della conversazione. /Sanno amarci con una mano- e l’altra all’invisibile”.
Non ti incontrai nel visibile. Solo attraverso i possibili squarci, le fenditure di un sentire profondo. Indistinto approdo, linea prefigurante sé stessa oltre le volute di una immaginazione festante: la tua natura di figlio, la mano di scriba già desto al sogno viandante.
“Creatura breve”. Creatura intensa. Attraversata da una oscura luce, adiacenza all’imperfetto vibrare del giorno in notte. Noche oscura declinata in vita.
Accogliesti nei mattini l’inverso abito notturno, abitato dalla luna, da esseri dal limbo abbigliati. Entità che ci chiamano a vivere ogni soglia di esistenza. Non tragiche. Solo apparenti, fluide al passaggio. Al sordo richiamo.
Un profumo di salsedine e il tepore dei corpi, intatti, solitari nell’interrogativo dell’essere prima di essere.
“Dormiva: questo ha detto/Lo ha svegliato un fischio/Così ha scritto. Un fischio come/d’aria tra spazi vuoti. /già passato”.
Tu non passi, Gabriele. Resti. Nei vapori di un sentire intimo che attraversa il limen. Prolunghi lo sguardo bambino in stupore e raccordi i pezzi mancanti al viaggio di ritorno.
“Ci basterebbe credere a una riva/a una luce che vada scomparendo/dietro gli scogli, o che un morto riviva, /che si perda tornando”. Ho sognato che tornavi. Riconoscevo i tuoi occhi, lembi di terra, e sorridevamo all’inganno. Con te portavi molti simboli e animali di potere. Invenzioni di nuovi linguaggi e la sola promessa possibile: l’assenza di confini.
Per cui torneremo a parlarci e il timore del vuoto cercherà risposta, entrambi parte di un’Unità devota alla Poesia o di suo specchio eco.
Sosta ancora un poco. Col sorriso di una foto che indulge sui tuoi anni. In fondo, la Magliana. Oltre, il corrugarsi di nubi, complici al tuo cospetto.
Lieve ondulare di mondi. Smarginature. Abissi.
Lieve. Come nome che inventa altri nomi. Come poeta che continua a comporre versi.
Ci si sente forse sul ciglio
dell’immortalità tradotta ad effigie
o un pallido ciclo compone rinascite
Donate una zolla di terra
al pauroso fragore terrestre
in palpito di foglia morta al suo fiore.
Non soggiace Amore a spento atomo
Se il nucleo tra-sale in ascensione inversa.
Chiamate i bambini a gran voce.
L’istante sconfigge ogni temporalità
Indimostrabile teorema a diadema posto
Milizia in difesa di Bellezza.
Un albero attraversa lo sguardo
Cauto, dilegua rosei rami e, in richiamo,
celebra del padre la memoria.
Non fui mai. Solo intrattenni dialogo
con l’anima in veste di luce abbagliata
da origami diurni graffiati a fosforo.
Così vedo allontanarsi la notte.
Marina Petrillo