Di Erika Maderna
Spingersi oltre il Paradiso
Se è vero che nei miti e nelle fiabe ogni personaggio interpreta una qualità della psiche, forse allora anche nella narrazione biblica possiamo intendere Eva e Adamo come forze che agiscono in noi. Il nostro Adamo interiore, che è più sensibile ai richiami della legge, di fronte a una proibizione imposta è portato ad accettarla. Ma Eva, il nostro femminino, è assetata di conoscenza. La sua curiosità vitale è desiderio di riconnettersi alla sorgente di Sophia, ed è la stessa aspirazione che guidò la giovane Psiche quando, ignorando il divieto, ammirò di nascosto il volto di Eros; o quella di Pandora, o di Persefone quando fu attratta dal fiore che l’avrebbe trascinata nelle profondità infere, o ancora di Rosaspina, di Cappuccetto Rosso, della moglie di Barbablu.
Curiositas è la natura ardita della nostra anima.
Quando si esprime nella trasgressione è percepita come oltraggio o arroganza, ma diventa anche un eccezionale motore di trasformazione. Nei miti, un atto di ribellione guidato da curiosità spesso segnava il discrimine fra un’età dell’oro caratterizzata da armoniosa convivenza fra uomini e dèi e un tempo nuovo di gravose conquiste per l’umanità. Dal vaso di Pandora si liberarono i mali e il dolore del mondo, perché scegliere la conoscenza implica necessariamente una rinuncia all’innocenza. Eva fu disposta ad abbandonare il paradiso delle delizie pur di gustare il sapore dell’unico frutto proibito, e così facendo accettò di dover partorire i propri figli nel dolore, trascinando in quella condanna l’intera discendenza femminile. Ne valeva la pena? Il messaggio condiviso da tutte queste narrazioni sembra suggerire che è l’anima stessa a lottare per uscire dal Paradiso: ma cosa può esserci di bello fuori dal Paradiso?
Forse è proprio Psiche l’eroina più rappresentativa di questo diffuso mitologema, se non altro perché il suo nome è un indizio che ci introduce nella selva dei significati allegorici. A causa della sua curiosità Psiche (Anima) infrange il divieto che le proibiva di conoscere le fattezze del suo sposo segreto, Eros. Per punizione, viene incaricata dalla dea Afrodite di portare a termine una serie di prove, l’ultima delle quali prevede la discesa nel regno infero per chiedere a Persefone lo scrigno contenente la Bellezza. La fanciulla riceve il monito di non aprire e di non guardare dentro il cofanetto per nessuna ragione, ma ancora una volta, dominata da quella curiosità che è il suo tratto dominante, non resiste.
Ma dentro non c’era niente, di bellezza neppure l’ombra. Vi era solo un sonno infernale, che, appena libero del coperchio, la assalì: una densa nube gravida di sonno le avvolse le membra e si impadronì di lei, e Psiche cadde a terra proprio sulla via, nel luogo stesso dove aveva posato il piede. E così la giovane giacque immobile, in tutto simile a un cadavere sepolto nel sonno della morte.
Sulla soglia fra il mondo infero e quello dei vivi, un’eroina, la prima di tante, giace in un sonno di morte apparente.
Quando Eros la trova a terra esanime, prima di risvegliarla la rimprovera di essere caduta vittima per la seconda volta della propria curiosità: tuttavia, non si tratta di una banale colpevolizzazione della curiosità femminile, come risulta più chiaro in altre narrazioni, fra cui quella biblica, bensì di un riferimento più sottile: Psiche, nel contattare quella Bellezza che ha sede negli inferi, ovvero nella dimensione profonda, ha nuovamente messo in atto dinamiche tipiche della mente inferiore: il dubbio, la curiosità superficiale, la ricerca di una facile soddisfazione del desiderio, senza interiorizzarne i valori più elevati. L’intervento di Eros potrà aiutarla a nobilitare quegli impulsi.
Curiositas è necessaria per crescere, per individuarsi; ci apre allo straniero, fuori e dentro di noi. Ecco cosa può esserci di bello, al di fuori del Paradiso.
Infrangere divieti, disubbidire, cogliere una mela o un narciso, aprire un cofanetto o la porta di una stanza segreta è un’urgenza della psiche. “Potete assaggiare i frutti di tutti gli alberi tranne uno”, ammonisce Dio. “Puoi aprire tutte le porte del castello tranne una”, dice Barbablu alla sua giovane sposa. Ma dall’unico albero proibito Eva sottrarrà il frutto… dell’unica stanza negata la sposa troverà la chiave. Il divieto spinge l’anima a cercare la libertà, e la libertà non conosce compromessi. “Troppo saprai, presto invecchierai”, avvertiva la saggia Baba Jaga, quando la giovane Vassilissa si mostrava avida di conoscenza: la perdita di una felice inconsapevolezza è la conseguenza che hanno sperimentato Eva e Adamo, così come la moglie di Barbablu, quando ha compreso che in quella stanza proibita molte altre donne prima di lei sono morte. Scopre però anche che quei cadaveri sono parti morte di sé, e che per quanto quella chiave sanguinerà per sempre, da essi si può rinascere. La scelta non è più negoziabile: bisogna aprire, cogliere, assaporare. Pungersi un dito, se necessario.
Curiosum nobis natura ingenium dedit.
(Seneca)
L’Anima desidera andare sempre più a fondo, sempre più in profondità.
(James Hillman)
Da Wall Street International Magazine
https://wsimag.com/it/authors/36-erika-maderna