Storie di vita
Storie di vita
Di Lisa Manno Sforza
breve introduzione di Marina Agostinacchio
Testo poetico e realistico, questo che oggi vi propongo il cui tema è quello dell’immigrazione , nel caso della scrittrice e di molti altri ai tempi del dopo guerra. Si tratta degli spastamenti dal sud verso il nord Italia. L’autrice scrive “Avevamo la stessa patria e bandiera ma comunque non fummo ben accetti e all’inizio fu dura!”
Testo:
…..Al mercato del pesce si comparava il pesce azzurro , c’era solo quello d’altronde , e sua madre che era una cuoca bravissima, ne cucinava teglie deliziose, spinate e ricoperte di prezzemolo e pan grattato che poi Evelin si incaricava di portare giù ad infornare , al forno del padre della sua compagna di banco delle elementari .
Quel forno vicino alla scuola media di piazza Malta , serviva tutto il rione, c’erano a volte lunghe code e anche due ore di attesa per infornare.
Questo era uno dei tanti compiti che la mamma le affidava e lei se ne faceva carico di buon grado e con scrupolosità , conscia del fatto che i genitori danno ai figli e che i figli devono ricambiare e a loro volta dare ai genitori, contribuire con i loro mezzi e la loro ubbidienza all’organizzazione familiare.
Tutti loro , lei e i suoi genitori , i suoi amici e vicini , tutte le persone che facevano parte del suo mondo di allora , che era l’unico possibile ed immaginabile per lei , erano dei “Terroni” , così come li definirono e apostrofarono per anni dopo che si trasferirono a Milano . Suo padre però era un uomo molto studioso e aveva addirittura due lauree…e non aveva mai fatto il contadino zappaterra . Anzi lui era figlio di un musicista , maestro di violino e pianoforte!
Ma a Mi -LA- NO , loro erano comunque dei terroni e per i settentrionali tutti quelli del sud , indipendentemente dal ceto e dalla cultura , lo erano senza differenze.
Allora Evelin , neanche supponeva che si potessero definire e giudicare delle persone in blocco, così solo perché erano nate in un posto o abitavano una certa regione.
Lei per esempio quando ci pensava , a chi fosse e come si dovesse definire , non si sentiva salernitana.
Aveva la percezione solo di se stessa e del vento forte che spirava da settentrione in inverno e ululava nei vicoli o del profumo dell’ozono durante i temporali quando le prime gocce bagnavano il terreno. Aveva la percezione delle erbe spontanee che crescevano nei prati intorno al rione , tra i ruderi dell’acquedotto medioevale. La percezione degli animali , dei gatti in particolare, che spesso figliavano cucciolate di randagini teneri e bellissimi che si sarebbe voluta portare tutti a casa , ma di cui non osava nemmeno parlare con suo padre!
Aveva la percezione del mare verde e profumato di alghe , dei cavalloni impetuosi che si frangevano sulla riva e trascinavano in un moto perpetuo i sassi dentro e fuori dalla battigia.
Del legno screpolato del remo del sandolino, che lasciava le conficcasse le sue schegge nei palmi delle piccole mani , quando all’insaputa dei suoi genitori, era solita noleggiarne uno giù al porto. Già da quando aveva 5 anni se ne andava da sola a pagaiare fuori della scarpata di scogli che proteggeva il lungomare, lungo la linea del golfo prima delle catene delle ancore delle navi americane alla fonda, che si stagliavano in lontananza.
La percezione della montagna che aveva la forma di un gigante addormentato , che vedeva a ovest , dalla finestra, con il castello di Adelchi sulla cima. La percezione dei pipistrelli che uscivano al tramonto a frotte dalla vecchia chiesa abbandonata di fronte al balcone della sala, o delle grandi navi americane alla fonda nel golfo , che vedeva dal terrazzo , che ancora erano li a proteggerli , così credeva , con i loro marinai neri ma vestiti di bianco che a volte sbarcavano e passeggiavano regalando le loro sigarette agli uomini, rendendoli umili e felici .
Queste erano le percezioni che aveva, di essere , di esserci , con le rondini che a marzo già tornavano dall’Africa e che adorava seguire con lo sguardo nei loro cerchi nel cielo e ascoltare con le orecchie e il cuore la loro musica querula ed allegra.
Questo era ciò che sapeva lei allora , quello di cui aveva certezza e radici, non sapeva di essere una terrona o una salernitana . Lei che poi era nata in Umbria , nel lettone della sua nonna Elena che era nata da antenati per metà Francesi e il cui capostipite pare fosse un Templare!
E fu così che pur essendo tutti loro dei “terroni” , nonostante ciò , non furono almeno tra quelli che arrivarono alla Stazione Centrale , come nell’immaginario collettivo è stato l’esodo dal Sud , con le valigie di cartone legate con lo spago!
Arrivarono in auto: una mille cento blu, che alla fine suo padre si decise a comprare usata, e che si avventurò a guidare per tutta quella strada.
Suo padre, fresco di patente, professore di Filosofia e Storia, uomo colto e intellettuale, miope come una talpa si , ma indubbiamente un papà molto molto coraggioso!
Lo temeva ma era fiera di lui , lo odiava ma contemporaneamente lo amava moltissimo , lo considerava uno stupido, perché era violento e infelice e le faceva soffrire tutte quante , ma nello stesso tempo lo ammirava per la sua cultura, la sua astuzia, il suo acume, la sua accortezza e anche se era miope e sapeva nuotare a mala pena , lo trovava comunque un temerario coraggiosissimo. Anche quando fu vecchio e poi morì , lei continuò a considerarlo un grande coraggioso, uno che aveva osato , aveva reciso le radici con la sua terra prima , la Puglia e poi con il Sud. Aveva osato trasferirsi verso una situazione ed una terra ignota , ignote persone, ignote future relazioni, modalità di vita sconosciute. Aveva dato a loro, che lei lo volesse ammettere o no , una fortuna in più rispetto a quelle che erano le sue amiche salernitane del rione. Aveva stravolta la loro condizione ma l’aveva proiettata in un futuro più vantaggioso e stimolante, da abitanti di una cittadina del sud erano diventate abitanti del mondo…