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Quel che resta del giorno…

Di Marina Agostinacchio

Ricordate il celebre libro di Kazuo Ishiguro Quel che resta del giorno e e la versione cinematografica “The Remains of the Day”, titolo originale, del 1993?
Se dovessi cercare una sintesi di quanto letto e visto, potrei pensare a un viaggio, un viaggio lungo una vita, tutta in salita.
Quello che racconterò oggi è appunto un viaggio, il viaggio di Elena, ragazza siberiana, venuta in Italia in cerca opportunità di lavoro ma aggiungerei, piuttosto, di un’esistenza affrancata da strettoie alla realizzazione di diritti umani fondamentali.
Elena è arrivata nel nostro Paese all’età di 18 anni, ben vent’anni fa!
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Qualche anno fa…
E’ sera. Ripenso alle parole di Elena, tornata in Italia dopo quindici giorni circa di soggiorno in Siberia. Lì c’è il piccolo paese nativo.
Il viaggio avviene il 28 agosto, partenza Venezia; dura circa tre ore. Quattro considerando il cambio del fuso orario.
Alle 3 del mattino il padre rileva all’ aeroporto la figlia. Li aspetta ancora un po’ di strada prima di raggiungere casa.
Le chiedo:” Ma Elena, sarai andata a letto appena messo piede nella stanza dove hai depositato la valigia” E lei candida risponde:” No. Perché tutto doveva iniziare proprio da lì”.
Cosa dovesse iniziare qualcosa e in quel momento, proprio non lo immaginavo.
Però il racconto di Elena mi trasporta subito in un’altra dimensione.
I genitori le hanno preparato una piccola festa, quella destinata a chi arriva. Una festa di benvenuto. Nel caso specifico, però, la festa assume un valore particolare.
È una figlia che torna a casa, seppure per pochi giorni e agli occhi di una figlia ogni gesto deve essere vissuto come un piccolo miracolo.
La cena è nel giardino. Di lì si vede il bosco.
C’è un tavolo tondo attorno al quale gira una panca in noce costruita dal padre di Elena.
Siedono.
Arriva la mamma con sfogliatine di pasta sottile ripiene di cavolo, patate, funghi. È il pasto speciale per l’ospite d’ onore: Elena.
Poi il padre offre liquori che lui stesso prepara con la frutta. Fragole, frutti di bosco… Quello che la natura dona agli abitanti di questi paesi a noi sconosciuti e sperduti in una Russia tanto lontana.
Elena poi elabora una narrazione che sa di altri tempi italiani. Parla del latte fresco appena munto da una vecchietta li’ vicino a casa sua. La donna ha tre mucche. Per arrivare in tempo bisogna svegliarsi alle 4 di mattina. Sennò rischi di non trovare più niente.
E che gusto quel latte e quella panna fresca a colazione insieme alle frittatine alla marmellata della mamma!
Credo che gli occhi di Elena, così luminosi al suo ritorno, fossero espressione di una felicità, portata dal suo Paese e chiusa a chiave nel suo cuore, come riserva per il tempo che l’avrebbe separata da casa… una felicità impastata degli odori del bosco, dell’amore della famiglia di cui Elena aveva fatto incetta per i lunghi mesi italiani, fino al prossimo volo.
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Ora per Elena questo è soltanto un ricordo bellissimo ma lontano!
Dopo qualche anno Elena è tornata in ottobre in quel paesino della Siberia che a noi appare un puntino sulla carta geografica solo ad immaginarlo.
E’ andata protetta dal doppio richiamo del vaccino. Lì però, nella sua terra i vaccini non arrivano. Elena fa in tempo a festeggiare il battesimo di una nipotina, è felice, è la madrina della piccola.
Su fb posta le fotografie di una vendemmia insieme ai suoi cari, dei volti gioiosi dei parenti, di lei con le mani che raccolgono il frutto del viburno. La gioia però si muta presto in pianto… La mamma Gaia viene ricoverata per covid nel reparto di terapia intensiva di una cittadina vicino alla sua.
Tornata In Italia, segue con trepidazione le notizie che le danno i parenti sulla salute della mamma.
Gaia muore qualche giorno dopo.
A Elena ora resta il ricordo di questa ultima vacanza con la famiglia, gli echi delle risate, il suono della festa. Tratteggia i volti di ognuno, ferma i gesti, gli attimi di vita, l’intensità dell’insignificante che potrebbe apparire ai nostri occhi, spettatori esterni di un mondo dai ritmi pacati. Ferma le parole dette, le confidenze fatte, gli sguardi silenziosi degli occhi accoglienti di Gaia.
Gaia per sempre.

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