di Tiziana Altea
Alla puntata d’esordio della trasmissione “Punto di svolta”, su Radio Itineraria lo scorso 3 febbraio, la conduttrice Aglaia Zannetti ha portato Antonia Pozzi.
Aglaia Zannetti è un’attrice teatrale. Risale al 2013 il suo primo spettacolo sulla poetessa, intitolato “Vorrei che la mia anima ti fosse leggera”, come riportato anche su questo sito. La particolarità di questa sua trasmissione radiofonica, in onda ogni mercoledì alle ore 16, è che si dedica alla “bellezza della poesia tutta al femminile”. Di ogni autrice andando a ricercare la “poesia della svolta”, cioè quella, spiega Zannetti, “che io ho identificato come poesia spartiacque, una poesia che porta a un cambiamento sia della produzione poetica sia dal punto di vista esistenziale”.
Zannetti legge liriche pozziane, partendo da Canto della mia nudità e passando per Preghiera alla poesia, Via dei Cinquecento, Il cane sordo, Lieve offerta. Cita il docu-film sulla poetessa, diretto da Marina Spada, “Poesia che mi guardi”. Legge passi di lettere. Racconta la vita di Antonia, gli amori, a partire da quello per Antonio Maria Cervi, suo professore di latino e greco al liceo Manzoni di Milano, la città in cui è nata il 13 febbraio 1912 e in cui vive. Racconta dell’amore di Antonia per la natura, in particolare per la montagna, e per gli animali. Attraverso la lettura dei Diari pozziani, Zannetti riferisce del rapporto complesso della poetessa con il professore Antonio Banfi (con cui si laurea in estetica all’Università Statale nel 1935) e il circolo dei banfiani, tra cui Vittori Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, Enzo Paci. Racconta della passione di Antonia Pozzi per la fotografia, con cui ritrae soprattutto periferie e campagne, le persone più umili, i bisognosi – verso cui ha un’attenzione concreta, vedi il volontariato prestato presso le famiglie povere della ‘Casa degli sfrattati’ di via dei Cinquecento –. Racconta dell’amore di Antonia per le “mamme montagne” e Pasturo, il paesino sotto la Grigna dove ha voluto essere sepolta e che dal 2012 le rende omaggio con un percorso poetico a tappe nelle vie del borgo.
Racconta della scelta di Antonia porre fine alla sua vita, a soli 26 anni. Il 3 dicembre 1938, dopo una breve agonia. Dopo i barbiturici presi il giorno prima sui prati dell’Abbazia di Chiaravalle, un luogo molto amato e che probabilmente resta, nel suo cuore, incendiato dei papaveri rossi ‘attraversati’ nei giri in bicicletta con il suo ultimo, sperato e unilaterale, amore: Dino Formaggio.
Ospite della puntata di “Punto di svolta” è Graziella Bernabò, biografa di Antonia Pozzi, oltre che curatrice, insieme a suor Onorina Dino, di diversi importanti libri sull’opera pozziana.
“Proprio per questo fuoco che aveva dentro di sé, Antonia era molto diversa, molto lontana dall’immagine convenzionale che il padre, Roberto Pozzi, manipolando i suoi scritti [le liriche pozziane sono state tutte pubblicate postume; la prima raccolta di Parole, in edizione privata, è uscita nel 1939, a cura appunto del padre – ndr], aveva voluto trasmettere al pubblico in base alla sua mentalità di uomo dell’800 e ai canoni perbenistici di una certa borghesia italiana di epoca fascista – spiega Bernabò -. In realtà, Antonia, a mio parere, appare da ogni parola come una figura in netto anticipo sui tempi, cioè come una giovane donna appassionata e interiormente libera. Perciò molto attuale.
In un’epoca come quella fascista, nella quale dominava l’idea che la donna dovesse essere succube dell’uomo – nel suo caso il padre –, Antonia fece tutto il possibile per difendere il proprio diritto alla vita e all’amore al di fuori degli schemi familiari e sociali che le venivano imposti”.
L’amore è un’energia fondamentale per Antonia Pozzi, “era un trasporto insieme spirituale e fisico, anche indipendentemente da una sua concreta realizzazione – sottolinea la biografa –. Nelle sue liriche d’amore è sempre presente una forte tensione dell’anima che però non esclude la passione, il desiderio. Più in generale, Antonia Pozzi era generosamente aperta alla complessità della vita e del mondo, di cui sapeva cogliere tanto la bellezza e la gioia quanto il dolore”.
Se le emozioni più luminose si legano alla natura, all’amicizia, all’ispirazione poetica, quelle contrapposte segnano l’incomprensione, il senso di abbandono, “la solitudine, la perdita di un senso della vita”. E la percuote “il dolore dell’umanità ferita o annientata dalla violenza della storia”.
Bernabò è nitida nel chiarire che “tutto questo Antonia Pozzi lo esprimeva meravigliosamente nella sua poesia e nella sua fotografia, in cui sapeva fondere, in un modo molto originale, il piccolo con il grande, la concretezza e a volte la semplicità del punto di partenza con un respiro più ampio, spesso perfino cosmico”.
Ma qual è, per Zannetti, la poesia della svolta di Antonia Pozzi? È Un destino.
Intervistata dalla conduttrice, Bernabò inquadra questa lirica così: “Antonia Pozzi scrive Un destino il 13 febbraio 1935, emblematicamente nel giorno del suo compleanno. Nel periodo della esplicita sottovalutazione della sua poesia da parte di Banfi e degli amici banfiani. Come si ricava dai Diari, Antonia ne soffre moltissimo. Inizialmente sembra accettare questo giudizio, che purtroppo riguarda tanto i suoi versi quanto la sua personalità, cioè proprio quell’ardente apertura al mondo e alla vita che oggi ci affascina ma che nel suo contesto culturale, fortemente razionalista, le veniva fatto apparire come un limite emotivo, come una forma di disordine da superare per il suo bene. Antonia entra in crisi ma poi in vari modi reagisce. Con la poesia Un destino prende atto, con evidente sofferenza, della propria lontananza dalla vita più immediata e semplice degli altri; nello stesso tempo, però, Antonia si mostra consapevole della propria capacità privilegiata, in quanto poeta, di aderire alla sostanza più profonda non solo della propria esistenza ma anche di infinite altre vite e, su questa base, accetta il suo destino di solitudine e di poesia”.
Una consapevolezza che si autodetermina e che trova una nuova testimonianza ad esempio nella pagina di diario del 17 ottobre 1935 che Bernabò prima cita: “Impara a vivere sola – dentro di te. Costruisciti. Qui, o si muore o si comincia una tremenda vita. Io sono una donna, ma devo essere più forte del povero Manzi [un altro amico banfiano] che si è ammazzato per una ragione uguale alla mia. – Orgoglio, aiutami –. Bisogna nascere una seconda volta”. E poi commenta sottolineando “l’idea interessantissima” di Antonia di “rimettersi al mondo in quanto donna e partendo da sé”.
“Sul piano della creazione letteraria – prosegue – nel 1935 Antonia Pozzi non solo continua coraggiosamente a far poesia nonostante la negazione esterna, ma lo fa utilizzando un nuovo tipo di linguaggio, più scarno e concentrato, e nello stesso tempo sempre caldo, sempre fedele al suo straordinario mondo di donna e poeta”.
Un mondo che non può prescindere dal legame con il corpo. “La poesia di Antonia Pozzi è molto raffinata sul piano stilistico, come notò Eugenio Montale già nel 1945 – evidenzia Bernabò -, però i suoi versi sono anche estremamente materici, sensoriali, roventi di vita. Quindi assolutamente inediti per l’epoca. Infatti, alla fine degli anni Trenta dominavano sia la poesia metafisica e rarefatta dell’ermetismo di area fiorentina sia quella disciplinata, composta poesia degli oggetti tipica degli autori di area lombarda, in particolare dell’amico di Antonia, Vittorio Sereni.
Quella di Antonia, invece, è una poesia che non rinuncia a un caldo radicamento nell’esperienza. Esperienza, ad esempio, della natura, dell’amore, negli ultimi anni anche dell’angoscia per le grandi piaghe del mondo popolare, la miseria e la guerra. Nei versi di Antonia Pozzi la natura, specialmente quella di Pasturo, appare come un mitico mondo di montagne madri. In questo c’è qualcosa di solenne, di sacrale, ma c’è anche una forte concretezza dovuta al suo legame dell’anima e del corpo con quei luoghi. Antonia riesce a farci sentire fisicamente le zolle, l’erba, le gemme e i fiori e insieme il mistero di quel mondo. Esemplare, in questo senso, è Radici”.
Ringraziamo Graziella Bernabò per queste sue splendide parole. Ringraziamo Aglaia Zannetti per il suo impegno e l’importante idea di dare spazio e voce alla poesia femminile e diamo il benvenuto a questa trasmissione di Radio Itineraria, a cui auguriamo tanto successo. Segnaliamo che oltre al podcast su Antonia Pozzi, sono già disponibili anche quelli delle due puntate successive su Wislawa Szymborska e Emily Dickinson.
Ricordiamo – come già fatto da Zannetti – che l’Archivio Pozzi, creato e portato avanti con cura da suor Onorina Dino, è conservato al Centro Internazionale Insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti” dell’Università degli studi dell’Insubria, di cui anche questo sito è entrato a fare parte. Vedi qui >>>