La disobbediente di oggi: Persefone
di Clelia Moscariello
Questo mio scritto si presenta come una sorta di monologo e di autoconfessione catartica da parte della dea degli antichi greci, nonché regina dell’Oltretomba, accanto al consorte Ade, raccontata spesso con caratteristiche inquietanti: mi riferisco al mito di Persefone. Questa figura della mitologia greca è considerata da sempre ambivalente in virtù del suo ruolo di mediazione tra la dimensione terrena dei “vivi” e quella dell’oscurità appartenente alla “morte”. Persefone, infatti, rappresenta anche la rinascita della natura dopo la fine di ogni ciclo naturale, così come simboleggia le dipendenze più disparate, compresa quella di tipo “affettivo”, per il motivo che lei non cresce mai e forse è questa una delle sue caratteristiche principali, Persefone è figlia di Demetra e il suo ruolo è quello di una eterna adolescente dipendente anche da sua madre. Ho voluto così indagare le vicissitudini che si celano dietro le sue dipendenze e, in modo romanzato e un po’ romantico quanto surreale, narrare anche il suo vissuto immaginario nonché affettivo.
Persefone
Io sono Persefone,
vivo nell’Oltretomba,
sono un mare “nero” e solo perché non mi fanno vedere la luce,
sono immersa in una notte perenne,
mi hanno eletta la regina degli Inferi,
perché non posso uscire dalle mie dipendenze,
dai miei mille innumerevoli limiti,
da tutti i miei infiniti punti deboli,
a dirvela tutta,
sono io stessa il mio “lato debole”,
quello “sinistro”,
quello “maledetto”,
il cosiddetto “tallone di Achille”
e questo perché io conosco perfettamente il “surrogato”
ma non l’originale,
perché ho a che fare con il tormento
mai con il giubilo,
perché la mia casa sono le tenebre
e non il cielo,
perché ciò che sento mio e che mi appartiene è in realtà anche la mia triste “prigione” e non la mia “salvezza”,
perché non ho bisogno di smarrirmi
per sentirmi preda dell’oscurità,
perché più mi cerco
e più non riesco a trovarmi,
perché non è vero che si vede meglio a “luci spente”,
perché io tuttora non ci capisco niente,
perché il mio Dio sei tu che nemmeno mi vedi,
e tu, ti prego, tu non giudicarmi male,
non ferirmi con le tue parole aguzzine,
non trattarmi male anche tu,
perché ciò che ti appare promiscuo “buio”
è per me il mio stato naturale
e la mia necessità continua,
se io resto perennemente “fanciulla”,
nonostante viva dall’inizio dei Tempi,
è perché tutti mi vogliono ancora una “bimba”,
una eterna adolescente che non riuscirà mai a staccarsi dalla sua comfort zone,
ad emanciparsi per ottenere la sua libertà,
che avrà perennemente il timore di allontanarsi da tutte le sue sicurezze,
sì, alla fine, è sempre quella fottuta paura che mi frega,
solo quella dannata e maledettissima paura,
quella di crescere,
perché, se ciò dovesse accadere
allora ho il terrore che nessuno mi amerebbe più
e tu non darmi colpe per questo,
Sappi che se mi prometti di non abbandonarmi più
e di tenermi sempre la mano
io forse ci voglio provare a divenire adulta,
tu però tienimi ancora la mano
e non me la lasciare più,
anche se divento “grande”,
fatti trovare sempre,
giuramelo,
e prometti di non sparire mai più se mi volto
e se ti chiedo conferme,
perché io ho bisogno di sapere che tu ci sei e che ci sarai,
ho solo bisogno di questo, adesso,
e credo che ne avrò sempre.