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Martedì di poesia con Anna Leone e la nuova raccolta “Assetti e voli”

Per il martedì di poesia, desidero proporvi la lettura di alcuni testi di Anna Leone, tatti dall’ultima raccolta “Assetti e voli” – editrice Libreria Editrice Psiche- di cui suggerisco la lettura tutta.
La scrittrice genovese, con sapiente misura, sa raccogliere la lezione dei suoi maestri, i poeti del novecento italiano e non solo, attraverso l’uso di una parola asciutta, scabra, tagliente e sa adagiarla, quale atto denuncia del proprio male di vivere, in uno spazio di universalità esistenziale, in cui tutti, prima o poi, ci troviamo a imbatterci.
Eppure, Anna Leone, nei suoi versi, è capace di evocare, nel turbinio di emozioni, tagli, incisioni verticalizzanti, la dimensione del respiro profondo cui può abbandonarsi l’anima, lasciandoci intravedere una luce di taglio che mette in pace l’io ed il sé, come possiamo leggere nella poesia “ALLA FOCE”. A testimonianza di quanto scritto, vi propongo qualche frammento del testo.

Che non fosse dolore

l’inabissarsi del sole

nel mare di lontananze

Ma silenzio che chiami

a sé i nomi

Li deponga nel lento respiro

che prepara gli addii

per condurli

alla foce del primo pronunciamento

privi d’assedi e ruvidezze

che furono la mia ustione

la mia spoglia lacerazione

Non è rassegnazione, a mio parere,quella di Anna, bensì slancio, riemersione voluta, nonostante la vita.

Ma ecco alcune voci di critici sul libro “Assetti e voli”

Infinite sono le anime che vivono di un’unica matrice in Anna Leone: una diversa dall’altra, ma legate da quell’impercettibile filo che circonda ognuna di esse disegnando una spirale che tende all’infinito.

Così ne risulta un gioco di spazi e limiti, sempre in movimento, dove un’apparente calma nasconde il procedere verso la profondità per risalire subito dopo, quasi alla ricerca di una boccata d’aria.

Una poesia essenziale ed esistenziale, velata di quella malinconia densa di saggezza, di donna ormai rassegnata al susseguirsi dei giorni, senza colui con il quale aveva deciso di vivere la sua esperienza terrena in questa vita: il fratello gemello.

“I versi di Anna Leone aprono alle parole uno spazio espressivo particolare e significativo.”
Tomaso Kemeny

”Un’indubbia vocazione visionaria guida il dettato poetico di Anna Leone, coinvolgendo il lettore in un vortice di immagini che gravitano intorno al sole incorrotto della libertà: quella di cui tutti parlano e quasi nessuno conosce”
Mario Marchisio

”Un mondo fatto di sogni fantastici e realtà esenti da false prospettive, emozioni e sprazzi di felicità non sopraffatte dall’amaro delle delusioni: sono versi da assaporare con tutta l’attenzione da dedicare a chi fa della ricerca il proprio nucleo e ha la forza di combattere a viso aperto per un futuro tempo migliore”
Chicca Morone

Alcuni testi

IN TRALICE

Collazioni di giorni

su lembi sbiaditi di vita

Sgorgo lustrale

di tempo mandato a memoria

Soffio di caldo silenzio

nelle notti più sole

Ebbi anch’io lampi negli occhi

fra i capelli il maestrale

Bevvi il sole a piccoli sorsi

per restituirlo sui discorsi di sguardi

Umettai gli angoli della bocca

per preparare sorrisi

Cinquantanove lune mitigano il cerchio

Si fanno ridde di stelle

intorno a piccole morti

La morte più grande

batte da fuori il tamburo

Presto o tardi

cadrà l’osso dai polsi

Tutta la vita che porto

il peso delle sue ragioni

anche l’ultima mia poesia.

*
PERIPERIE DI GENOVA

Così noi siamo rimasti all’attracco

Fermi nell’immenso fiato

confinati nel grigiore degli anni

Sul grande ponte osserviamo le altre navi passare

Qui nessuno vuole ricordare l’onda che lo sospinse

l’àncora arenata sulle promesse

Ci siamo riparati dentro gusci

e il respiro non si innalza.

Dagli oblò riflessi notturni

alzano lembi di un sudario deforme

per andare al centro della profezia

di un dolore necessario sconosciuto ai tanti

Poi un sonno pesantissimo

quasi una piccola morte

Le palpebre scese sugli schianti

di lune cianotiche

cadute dai calendari

Qui il risveglio è un lenzuolo steso

sull’assillo di un fondale teso alle carcasse

dove la vita non accade

E ugualmente andiamo

con un sillabario contratto

aggrappati a regoli sfiniti

Scavalchiamo piscio e vomito

assuefatti alla nausea

con speranze segrete e inarrivabili

Neppure un santo a cui votarsi.

*

GUADO

Io temo il segno

che in luce si dissangua

l’ombra del bordo franto

che dice la rovina

E temo il segno annidato nella voce

quando rivela il buio scritto

nel rovescio del corpo.

Quando con tesi contrappunti

la lingua è plettro che calca la misura.

Ma se nell’ascolto si risalisse la pupilla

si troverebbe un guado fino al bianco della sclera

Glacieret

nevaio di calma apparente

vespaio d’ ombre a contendersi il chiaro.

ALLA FOCE

Vorrei cadere dall’alto dell’accento azzimo

di città logore

su una parola piana

di un viale al tramonto

Che non fosse dolore

l’inabissarsi del sole

nel mare di lontananze

Ma silenzio che chiami

a sé i nomi

Li deponga nel lento respiro

che prepara gli addii

per condurli

alla foce del primo pronunciamento

privi d’assedi e ruvidezze

che furono la mia ustione

la mia spoglia lacerazione.

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