La rubrica di questo autunno: “Le disobbedienti”
Questo martedì di ottobre mi piace incominciare a proporre un pezzo di S.C.
“Correva l’estate del 2000 e io ero una ragazza di quasi 18 anni, cresciuta sotto ad una campana di vetro. Mia madre era la campana”, dice S.
E’ un racconto autobiografico davvero interessante. Chissà quante di noi si potranno ritrovare in questa esperienza di vita proposta.
Non resta allora che leggere e dire la propria.
Marina
Casa, 4 ottobre 2023
TI RICORDI QUANDO…
Tratto da una storia vera.
Perché per essere disobbedienti, è necessario desiderarlo ardentemente. “Parlami di quando mi hai visto per la prima volta ti ricordi a stento o rivivi tutto come come fosse allora? Cantano così, questa mattina, i Negramaro. E mi riportano laddove il mio cuore spesso si rifugia. Correva l’estate del 2000 e io ero una ragazza di quasi 18 anni, cresciuta sotto ad una campana di vetro. Mia madre era la campana. Ed era un vetro spesso, tripla camera, antisfondamento. Unica concessione per l’estate era andare a lavorare al mare: baby sitter a tre splendidi bambini. Non si fuma, non si beve, non si esce con alcun ragazzo, soprattutto di sera…a maggior ragione se proviene da lontano. Che non ci sia il rischio, poi, di vedere la figlia andare ad abitare chissà dove. Tutto sotto controllo. Non si fuma. E fumai come se non ci fosse un domani. Come Audrey Helpburn in Colazione da Tiffany, elegantemente, con la sua immancabile sigaretta con bocchino fra le dita. Non si beve. E non bevetti nulla. Semplicemente perché non mi è mai piaciuto. Non si esce con alcun ragazzo… ma quel ragazzo era il cugino dei miei adorati bambini. Ed era di Padova. Mica vicino. Ed era bellissimo. Ed era innamoratissimo. Ed eravamo innamoratissimi. Mi ricordo quando lo vidi per la prima volta: fulminata da quegli occhi azzurro cielo, di quel ragazzo delfino, che spuntavano tra una nuotata e l’altra…che neanche Roul Bova nel film Piccolo Grande Amore. Non la smetteva di guardarmi dritta negli occhi quando eravamo insieme. Non la smetteva di aspettarmi seduto nella nostra panchina di Duna, quando arrivavo assonnata la mattina. Non la smetteva di lasciarmi la mano quando passeggiavamo per i sentieri segreti della pineta, per arrivare al mare…e per baciarci senza essere visti da nessuno. Non la smetteva di tenermi le spalle quando era dietro di me e ordinavamo Cornetti Royal al cappuccino per mezzo stabilimento balneare. Non la smettevamo di sognare, di amarci, di attenderci. E non si esce di sera con alcun ragazzo… E venne a chiamarmi a mezzanotte, mentre ero già a letto, col mio pigiama blu Benetton con l’orso. Mi vestii velocemente e scappai dal retro della casa in cui lavoravo…come nelle più belle storie d’amore e come nelle più belle follie adolescenziali. Corremmo divertiti fino al nostro molo. Lo raggiungemmo fino in fondo. E, guardando le stelle, ci promettemmo amore eterno. E facemmo l’amore, sì, come mai fatto prima. Cedemmo il comando alla fantasia, alle lacrime, alle risate, alla chimica e all’alchimia. Le nostre giornate da allora furono un tripudio di attimi tragicomici, surreali e poetici. Ogni bacio su quella poltrona rossa era una trasgressione ai dictat di mia madre. Ogni corsa sotto la pioggia, con gli asciugamani in testa, era un atto di creazione continua, un vulcano inesauribile. Eravamo due giovani belli nel cuore e nell’animo e c’erano tutti gli ingredienti per qualcosa di magico, meraviglioso, senza fine. C’era tutta la mia voglie di rompere schemi e uscire dalle regole. Tutto il mio bisogno di volare con le mie ali. Tutto l’amore che conoscevo. Quella storia, dopo 20 anni, resiste ancora nel mio cuore. Prendemmo strade diverse, ci costruimmo vite diverse, ma fummo sempre rifugio sicuro reciproco. Fu il mio dolce inizio alla disobbedienza. Fu la mia consapevolezza di essere forte, di essere donna, di essere viva. Fu la ribellione per tutto il femminile prima di me…compresa mia madre.” S. C