di Marina Agostinacchio
In un post di Erika Maderna, studiosa medievista, appare una fotografia degli gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso in cui viene ritratta la restauratrice Lorenza d’Alessandro e Nefertari, sposa di Ramesse II d’Egitto, faraone della XIX dinastia.
La Maderna non può fare a meno di notare una somiglianza impressionante tra le due donne. Eppure tra loro viaggiano spazio e tempo. “Due donne separate da più di tremila anni”. L’immagine impressa nella pellicola pare suggerirci un’intimità, un processo di identificazione, creatosi attraverso un lavoro “viso a viso” , sebbene le due donne siano vissute in ere così distanti. Negli scatti che ritraggono nel suo restauro Lorenza d’Alessandro traspaiono ardore, entusiasmo, dolcezza, una capacità di cogliere e condividere quasi l’interiorità di Nefertari; questi moti dell’animo danno luogo a una sorprendente somiglianza tra la regina egiziana e la restauratrice.
Azzerate le coordinate sul cui asse stendiamo le nostre esistenze, i due volti mi suggeriscono quanto di noi si perpetua dell’ altro. E così mi viene in mente Gustav Jung. Secondo lo studioso, dentro di noi abbiamo un passato sterminato, che trascende il nostro percorso individuale. Si tratta dell’inconscio collettivo, costituito da tutto ciò che ereditiamo spiritualmente della storia dell’uomo, “che rinasce in ogni struttura celebrale individuale [‘i cui contenuti sono gli stessi ovunque’]”. Ecco allora che Lorenza d’Alessandro, in quell’atto d’amore che l’accompagna nel suo lavoro su Nefertari, trova e ritrova l’antica essenza del suo spirito, depositata nell’inconscio, riemersa nell’illuminazione del proprio processo psichico. Come nei sogni che non possono essere spiegati ma reputati come sostanza inedita “che deriva da un inconscio collettivo”, il ritrovamento di me in un volto e in uno spirito spiegherebbe quei déjà-vécu, quell’ improvvisa apparizione di qualcosa o qualcuno con cui si entra in contatto e “che provoca la sensazione di un’esperienza precedentemente vissuta”.
Fascino, senso dell’arcano, abbandono di sé in un linguaggio fatto di mimica, gestualità, postura, tutto deve avere ritrovato la restauratrice nelle ore del suo amorevole lavoro. Atti indicativi di ciò che è essenza immutabile della donna.
Lascia un commento in fondo alla pagina
Per le foto dell’affresco: