La domenica dei poeti: Luisa Mazzone legge “La mia sera”
Luisa Mazzone legge La mia sera di Giovanni Pascoli
Breve introduzione di Marina Agostinacchio
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Per Giovanni Pascoli la sera rappresenta la metafora della sua vita.
Al temporale e alla pioggia del mattino, simbolo di una vita di sofferenza e di preoccupazioni, a fine giornata si sostituisce un paesaggio di serenità e armonia, immagine della vecchiaia del poeta stesso.
Nell’ultima parte del testo, il Pascoli ricorda l’infanzia, priva del dolore che colpirà la sua famiglia.
E la voce che lo culla e lo tranquillizza ci riporta ai suoni indistinti di un linguaggio femminile che lega in una terra di mezzo madre e figlio ancora in età infantile.
Testo
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.
È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Nè io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.