INFRANGERE DIVIETI VITA ARTE CORAGGIO
Frida Kahlo: “la muta lingua femminile che in lei l’arte amplifica”
“L’ERESIA DI FRIDA”
Di Marina Petrillo
Il testo della scrittrice Marina Petrillo ci immerge nel simbolico e archetipo che risalgono dalla profondità dell’esperienza umana; mistero portato alla luce con straordinaria analisi sull’opera pittorica di Frida Kahlo.
Un vero invito a leggere questo coinvolgente saggio, pinna caudale per sondare l’inconoscibile di noi.
Testo
L’eresia in Frida Kahlo è nell’essere grondante sangue. Stilla sempiterna deificata a stato coscienziale in cui l’archetipo irrompe, nidifica, esonda. Il corpo diviene entità officiante in rito di passaggio, brivido umano immerso nel dolore del corpo, sezione di sé stesso. Ogni traccia perdura nelle sue opere in estenuazione dell’immagine: un volto moltiplicato all’infinito, seriale, interrogante il mistero dell’umana condizione. Non perviene a soluzione l’alchimia dei colori, ma a saturazione. Come nelle opere rinascimentali, ogni elemento ne richiama altri e la profondità dello sguardo indaga la duplicità degli sfondi, microcosmi di dolore insidiati dall’ampiezza di mondi magici.
L’esperienza è un tessuto simbolico. Asse di crescita esponenziale volto a un ermetismo che si pone al di là delle interpretazioni e connotazioni fugacemente date. Il pantheon di Frida Kalu è complesso, così come il futuro è inconoscibile. Nella Psicomachia, il poeta Aurelio Prudenzio Clemente parla con la lingua del presente; il morente, con la lingua del passato. Frida ci presenta entrambe le sfere: nelle sue opere appaiono l’aspetto emissivo e l’aspetto ricettivo, il sole e la luna, il bianco e il nero distinti, mai fusi nell’Uno. La sua esistenza è il fuoco acceso in ampolle di dolore che cercano trasmutazione in vita. Così lei officia al suo stesso rito, di creatura alla quale ogni incisione, aborto, scavo inciso sul proprio corpo, corrisponde alla transustanziazione del colore in forma.
Giunge al limite consentito e lo supera, passando a nuovo stato: percorre la colonna cabalistica di destra, in evidenza, per poi manifestarsi in quella sinistra, salita al Monte Carmelo, poiché ogni cosa è vita, scampato pericolo incombente su gesti, parole, sentimenti. L’abisso prelude alla tana sotterranea kafkiana, l’intrico di fiori odorosi alla marcescenza. Indefinibile il confine tra i mondi: l’intensità diviene metro di identificazione del reale in agguato o limitrofo al sentire di una fine che incalza. L’inconscio emerge dal profondo in immagini agenti, radici, ramificazioni che irrompono in cambiamenti di stato: lei cerva o figlia della propria immagine radicalizzata, enfatica, iconica. La tensione guida colui che osserva alla soglia estrema: lei diviene psicopompo, guardiano della soglia. Nigredo in solstizio di inverno, mentre l’assolata sua origine natale sembra irrompere potente.
La corona di fiori indossata, si fa sudario ma anche Kether posta verso un alto privo di spiritualità, se non per la muta lingua femminile che in lei l’arte amplifica. Le sue creature non nate sognano la vita, così come l’animo aspira all’assoluto: intorno, il brulichio dell’umana neglitudine che Frida sfida con sguardo insaziato.