Storia di una cittadella e della sua “scomparsa”
Consonno, un insolito borgo, palcoscenico per spettacoli e attrazioni tra spettrale ed esilarante, atto a soddisfare i capricci di un eccentrico personaggio del dopo-guerrra
Consonno di Enrico Ravasio
Voce di Luisa Mazzone
Il Conte Mario Bagno, agguerrito imprenditore edile del dopoguerra, verso la fine degli anni ’60 realizzò il suo folle progetto: una “città dei balocchi” per feste, weekend, brevi vacanze, scampagnate da Milano.
Il luogo prescelto si chiamava Consonno, una frazione di Olginate nel lecchese ed adagiata in collina.
Il Conte acquistò l’intera area e convinse gli abitanti a trasferirsi, poi spianò l’intero paesino salvando solo una chiesa del XIII secolo, la sua canonica e il cimitero.
La dinamite eliminò fastidiose rocce ed alcune sezioni della collina perché ostruivano il belvedere, poi sorsero un albergo, una discoteca, una galleria di negozi, un bar, un salone delle feste e un ristorante: un surreale mix di stili e richiami a epoche e luoghi diversi, con una spruzzata di kitsch.
Il portone d’entrata sulla strada d’accesso era quello di un castello medievale, sorvegliato da due figuranti vestiti da armigeri poi sostituiti da due fantocci; la galleria di negozi era in stile arabeggiante, con un alto minareto (sì, proprio un alto minareto che si stagliava contro il cielo della Brianza) e poi pagode orientali, fontane, tempietti ed una zona riservata al tiro al piattello segnalata da una locomotiva di legno.
Molti cantanti famosi dell’epoca si esibirono a Consonno e per anni il flusso di visitatori da mezza Lombardia, ma anche più lontano, fu imponente con annessi matrimoni, cresime e pranzi sociali, addii al celibato e cene galanti; l’unico fastidio fu una frana, prontamente rimossa.
Poi però l’interesse iniziò progressivamente a calare, anche perché quella che era stata definita pomposamente “Las Vegas italiana” era in realtà un’area molto limitata.
Nel 1976 una seconda frana, enorme, distrusse la strada di accesso al borgo e diede il colpo di grazia ai bilanci scricchiolanti di Consonno, che chiuse i battenti e venne sostanzialmente abbandonato.
Qualche anno dopo l’albergo fu riconvertito in una residenza per anziani che rimase aperta fino al 2007 e, pochi mesi dopo, a Consonno venne organizzato un rave party (il Summer Alliance) della durata di tre giorni; i partecipanti, strafatti di tutte le possibili droghe e rincoglioniti dalla musica, distrussero tutto quello che potevano, accanendosi soprattutto con la galleria di negozi e l’albergo e lasciando un tappeto di cocci, vetri infranti e pezzi di serramenti.
Ovunque comparvero graffiti da clinica psichiatrica e che attirarono nuovi gruppetti di soggetti della medesima indole, per qualche tempo.
Oggi il borgo fantasma è pericolante e si staglia ancora sulla collina, come una visione onirica malsana e macchie di vegetazione selvaggia qua e là.
Consonno: battezzato dalla follia della dinamite, abbattuto dalla vendetta della natura, oltraggiato dai cervelli liquefatti del rave party.
Consonno, dove l’inconscio si materializza.
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