“IL CINEMA DEL FIUME” di Enrico Ravasio
In giro per la mia città. In giro in noi attraverso la memoria
Questo articolo è un vero e proprio Inno alla memoria.
Riattraversare luoghi e avvenimenti, fare rivivere persone con poche pennellate, portandole agli occhi del lettore con una tecnica a sbalzo e con maestria da vero artista; ecco il sortilegio prodotto dalla penna di Enrico Ravasio. Già nel titolo, dato al racconto, avvertiamo la magia di un incantesimo, capace di esplodere nella mente del lettore nel suono dei due sostantivi: cinema/fiume.
Lasciamoci ora trasportare dagli zoom su ogni particolare su cui si adagia lo sguardo di Enrico.
Buona Lettura!
IL CINEMA DEL FIUME
Attraversavo il ponte sul fiume che divideva le due province e appena giunto sull’altra sponda entravo nel vasto spiazzo recintato su cui si ergeva il Cinema del Fiume; era un edificio color ocra costruito verso la metà degli anni sessanta e sala di terza visione (anche oltre), come si diceva allora, che significava che l’attesa per vedere un film uscito in città era di un mese, anche due.
Le proiezioni avvenivano di venerdì e sabato sera, la domenica pomeriggio (tre spettacoli se la pellicola non superava le due ore) e sera, più il lunedì sera per una pellicola di gran richiamo, come “Frankenstein Junior” per esempio.
Il mercoledì sera era dedicato al film impegnato: ci vidi, per la prima volta “Easy Rider” ma c’erano film anche la sera di martedì e giovedì. Erano quelli vecchi di molti mesi od anche anni: “Elektra Glide” arrivò un bel pezzo dopo l’uscita in prima visione e riuscii ad intrufolarmi senza aver compiuto 14 anni. La proprietà non transigeva: ti chiedevano la carta d’identità quando la faccia non li convinceva od in mancanza di un adulto a garantire, ma quella volta entrai comunque. In alternativa, titoli strani e misteriosi che nemmeno sapevo esistessero. Il sabato pomeriggio invece competizione con i cinema parrocchiali con il genere Ercole, Maciste e mostri vari.
Durante la settimana capitava che, nella pausa nello studio pomeridiano, facessi una passeggiata per andare a vedere la programmazione del fine settimana.
Il sabato e la domenica era sempre affollato, con un pubblico in buona parte adulto, almeno così appariva ad un ragazzino. Nonostante fosse un cinema della profonda provincia non ricordo una sola visione disturbata da schiamazzi o intemperanze, persino durante gli intervalli e le anteprime. Ricordo invece il tenue profumo che mi accoglieva appena varcata la porta a vetri: arrivavo sempre un quarto d’ora prima e ne approfittavo per esaminare con attenzione ogni singolo manifesto dei film della settimana e commentarli con gli amici.
All’entrata in sala c’era un altro sottile profumo, ancora migliore: era una piccola festa andare al Cinema del Fiume e nemmeno mi sfiorava l’idea che i sedili di legno fossero scomodi.
Fu durante l’intervallo de “Il braccio violento della legge” che notai per la prima volta un ometto in giacca e cravatta, sulla quarantina, baffi, occhiali e capelli lucidi di brillantina. Lo conoscevo di vista, dopotutto buona parte del pubblico era composta da persone che abitavano i due paesi delle opposte sponde e del circondario. Si chiamava Alessandro, sapevo che faceva il panettiere ma non l’avevo mai visto al cinema mentre da lì in poi, ad ogni secondo spettacolo della domenica, lo incrociai puntualmente.
Era sempre solo e silenzioso, l’aria un po’ malinconica ma impeccabile con completi di buona fattura, abbinati con un certo gusto a camicie e cravatte sobrie ma eleganti, come se conservasse la parte migliore del guardaroba per il cinema.
Io andavo al cinema solamente quando un film mi interessava e la sua simultanea presenza mi fece desumere che avevamo gli stessi gusti: un po’ bizzarro data la differenza di età, ma pareva l’unica spiegazione possibile. Mi capitava spesso di passare davanti al suo negozio e di vederlo mentre sistemava le ceste di pane appena sfornato dietro il banco, con maglietta, pantaloni e berretto bianchi e la sua aria malinconica. Vedevo anche la sorella, una mora che si occupava della vendita e bellissima anche nel suo grembiule azzurro da lavoro. Nessuno dei due era sposato.
Durante le mie ricorrenti frequentazioni iniziai a scambiare qualche parola con il proprietario, che faceva anche la maschera mentre la moglie stava alla cassa; ogni tanto chiacchieravo anche con lei ed una volta la conversazione fu interrotta proprio dall’ometto, che voleva acquistare il biglietto. La cassiera mi svelò che il signor Alessandro veniva al cinema tutte le domeniche al secondo spettacolo, ogni tanto il mercoledì sera. Proprio ogni domenica, che ci fosse “Guerre Stellari”, “Kramer contro Kramer” od un poliziesco, lui arrivava puntuale alle quattro. Ecco risolto il mistero: era lui la costante ed io la variabile che lo incrociava.
Iniziai ad andare al cinema in città con il pullman ma ogni tanto tornavo alla vecchia sala. Avevo già la fidanzata e guidavo l’auto quando tornò nelle sale “2001: Odissea nello spazio” ma per un serie di motivi lo persi, così andai a vederlo al Cinema del Fiume, da solo. Era una piovosa domenica primaverile e, mentre attendevo di entrare per il secondo spettacolo, rividi il signor Alessandro, che dopo aver acquistato il biglietto si appoggiò alla parete, in silenzio. Sempre in giacca e cravatta, capelli lucidi tirati indietro, baffi e occhiali. Chiesi alla cassiera se continuasse la sua frequentazione assidua e lei, dapprima stupita della mia domanda, mi rispose che sì, la domenica era sempre lì.
Passarono alcuni anni e l’ultima volta che entrai nel vecchio cinema notai che le proiezioni erano drasticamente diminuite e praticamente ridotte al fine settimana; dovevo prendere mia nipote quella domenica pomeriggio e vidi subito che gli spettatori in attesa erano pochissimi, nonostante fosse l’ennesimo ritorno di un classico Disney ma lui, il signor Alessandro era presente e sempre uguale. Era cambiato invece il mondo intorno, con i primi multisala e le videoteche proliferavano, così non c’era più bisogno di scovare un cinemino che proiettasse i file passati perché potevi startene comodo in poltrona.
Quella dei multisala fu davvero una rivoluzione: una scelta di cinque o sei titoli, i popcorn, la saletta bar, i gadgets e così via, ma dopo l’entusiasmo iniziale trovai qualche stonatura. Il biglietto costava parecchio, qualche minuto di ritardo era fatale e non si poteva recuperare con la proiezione successiva perché si veniva sloggiati dalla sala; un po’ rimpiangevo il Cinema del Fiume, la libertà piena di gustarsi un film e quella particolare sensazione di appagamento che mancava a questo nuovo stile da impianto a ciclo continuo.
Lavoravo già quando il locale divenne un cinema a luci rosse; quasi contemporaneamente, e casualmente, venni a sapere che il signor Alessandro si trovava all’ospedale. In effetti, passando davanti al panificio, avevo visto un giovanotto impegnato con le ceste del pane. Era la fine di settembre. Poco prima dell’estate successiva il Cinema del Fiume chiuse i battenti e non credetti alle voci della trasformazione in multisala: era troppo piccolo, avrebbero dovuto abbatterlo e ricostruirlo almeno su due piani. Qualche giorno prima di Natale vidi il manifesto funebre del signor Alessandro e rimasi attonito a guardarlo in una gelida mattina soleggiata, come se il passato fosse riemerso improvvisamente. Nella fotografia il tempo si era fermato, era esattamente come lo ricordavo.
Poi dimenticai tutto questo e diradai molto le mie sortite al cinema, che finirono per coincidere quasi interamente con i film a cui portavo i miei figli. Il vecchio edificio rimase abbandonato per molti anni fino a che, attraversando il ponte, notai un enorme cumulo di macerie e lo steccato che delimitava il cantiere: il Cinema del Fiume aveva concluso irrimediabilmente la sua esistenza. Rimasi così colpito da avere la tentazione di fermare l’auto per andare a vedere da vicino e quella sensazione intensa che non riuscivo a spiegare mi accompagnò per diversi giorni. Ora in quello spazio sorge un brutto e anonimo parallelepipedo di cemento grezzo, suddiviso in quattro negozi.
Una sera in televisione trasmettevano “Un mercoledì da leoni” ed un critico cinematografico lo presentò, dicendo il film ci ricordava quando eravamo più giovani, più buoni ed avevamo più speranze: rimasi molto colpito e compresi che l’abbattimento del Cinema del Fiume era stata una rimembranza inconscia.
Non ho potuto evitare di ripensare anche al Signor Alessandro e mi sono costruito una tesi, che tengo rigorosamente segreta: continua ad andare al cinema, in un luogo etereo, fuori dal tempo e dallo spazio, ammantato di luce crepuscolare. I film sono tutti bellissimi e non c’è il rischio che il locale chiuda o cambi programmazione bruscamente e lui, rigorosamente in giacca e cravatta e con i capelli lucidi di brillantina, è davvero felice.