Introduzione di Marina Agostinacchio
Racconto di Marcella Fazzi Psicoterapeuta
Storia di Elena, si potrebbe chiamare questa narrazione così terribilmente coinvolgente nel portare a consapevolezza esperienze che parevano depositate nella camera oscura di ciascuna di noi. All’improvviso emergono con forza, a confondere i nostri sogni, ad agitare le nostre giornate.
Bravissima Marcella che con una scrittura forte, chiara, narrativamente ben costruita, ci presente storie vere, capaci di farci riflettere e di guardare in faccia con verità una realtà ancora troppo presente.
La grande stufa se ne stava piantata al centro della stanza con una maestosità e una prepotenza che turbarono Elena al primo sguardo. “Questa casa non fa per me”, affermò al futuro marito con un tono che non ammetteva repliche. Le rimostranze di Remo furono comunque numerose: tentò in ogni modo di mostrarle le virtù di quell’abitazione e il legame affettivo che aveva con quel posto a lui familiare.
“Non posso vivere in una casa in cui si nasconde un mostro con grandi fauci”, ribatté Elena. “Non mi dire che è solo una stufa; sarà anche una stufa, ma è un colosso mostruoso!”. Remo non poteva credere che l’antipatia verso quella casa nascesse dalla paura per quella grande stufa di ghisa che aveva scaldato varie generazioni della sua famiglia. Nei suoi ricordi quello era il cuore della casa, il ventre di quella dimora povera e antica. Era la sua ricchezza: lì c’era sempre il fuoco acceso e, accanto, il nonno sonnecchiante sulla vecchia sedia a dondolo di legno. Remo faticava a rendersi conto che ciò che per lui rappresentava il calore, per la sua futura moglie rappresentava l’orrore.
“Come pensi che ci scalderemo?”, osò chiedere Remo.
“Che razza di battute fai?! Non permetterti di parlarmi così!”, disse Elena indignata, leggendo tra le parole del ragazzo un’ironia e un doppio senso che non aveva affatto attraversato la testa di lui. “Oggi parliamo un’altra lingua”, pensò Remo. Non c’era davvero modo di capirsi, di confrontare l’affetto con l’angoscia, il piacere con la repulsione.
“Vorrei poterti capire, ma non ci riesco”, mormorò Remo sconsolato, prendendola per mano e accompagnandola fuori dalle mura della sua infanzia.
Camminarono fino all’automobile che avevano parcheggiato fuori dalla recinzione; percorsero in silenzio il lungo sentiero che conduceva fino alla strada provinciale. Remo non osava più dir nulla. L’entusiasmo con cui aveva condotto fino a lì la sua futura sposa si era spento in una delusione mortificante. Elena si lasciò condurre, ma giunti in prossimità dell’auto si fermò e senza guardare il giovane uomo cominciò a raccontare:
“Una volta abitavamo in una casa di campagna. Non c’era il riscaldamento, solo una stufa nella cucina e un caminetto nella sala da pranzo. Una mattina ero rimasta a casa da scuola, avevo avuto la febbre per un paio di giorni per via dell’influenza. I miei avevano già ripreso i lavori nei campi, l’inverno stava per finire e, anche se faceva ancora tanto freddo, la terra andava predisposta alle colture. Mia madre era uscita molto presto, dovendo occuparsi anche delle bestie prima di aiutare mio padre ai campi. Erano quasi le otto quando mi sono alzata, ero un po’ accaldata per la febbre e l’aria gelata della casa mi aveva fatto correre in cucina dove, ero certa, avrei trovato il fuoco acceso dalla mamma prima dell’alba. Ero entrata di corsa, mi ero buttata di peso sulla panca accanto alla stufa calda, provando immediatamente un sollievo per il tepore. Rimasi così qualche minuto, in pigiama avvolta dalla coperta fatta all’uncinetto dalla nonna. Ero poco più che una bambina; non avevo mai visto un uomo nudo… Ancora assonnata e nel calore che mi aveva preparato la mia mamma, mi sentivo ancora accoccolata nel mio letto. Il risveglio fu bruschissimo. C’era un uomo nella stanza, non lo avevo mai visto; non era uno dei braccianti e nemmeno uno degli aiutanti nelle stalle. Era nudo, aveva addosso solo una maglietta zozza. Mi guardava con un sorriso spaventoso, era sudato ed eccitato. Ho provato una paura terribile. Ho gridato, sono scappata e caduta sulle scale gelate. Non mi ha seguito, ma questo non è servito a tranquillizzarmi. Continuo a vedere la sua immagine che mi rincorre sulle scale e a volte sento le sue mani che mi cercano sotto le coperte in cui mi rifugio a cercare protezione. Lo so che non mi capisci, non mi conosci. Non sai nulla di me, delle mie paure, del mio terrore. Ci sono esperienze per le quali il tempo trascorre inutilmente. E’ come un fuoco che brucia senza produrre calore, come acqua che scorre senza dissetare. Non abbiamo mai saputo chi fosse quell’uomo, sembra che nessuno l’abbia visto. Le donne nell’aia hanno sempre affermato di non aver visto né entrare né uscire nessuno dalla nostra casa. Io ero talmente spaventata da non essere riuscita a fornire molte informazioni per identificare quel tizio, pertanto potrebbe essere chiunque. Potrebbe essere ovunque ci sia calore a sufficienza per spogliarsi”.