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I racconti di Antonella: LE STAGIONI DI OLIVIA

Di Antonella Rizzo
Da IL FAZZOLETTO DI STOFFA Pubblicato da Kinetès Edizioni
LE STAGIONI DI OLIVIA

Breve introduzione di Marina Agostinacchio
L’adolescenza in questo racconto di Antonella Rizzo è misurata dettagliatamente con sguardo critico. Insofferenza, delusione, tradimento, innamoramento si alternano nel ricordo della donna matura e tutto pare sospeso allo sguardo benevolo del lettore nei confronti di quella ragazza in cui ci si può ritrovare, ascoltando la propria voce interiore che ancora parla di giovinezza e, per dirla con l’autrice, “di squarci di sole”.

Anzio, 1983 Da giovane avevo una scarsa tolleranza alla calura estiva, una sensazione insopportabile. Ero in un momento di grande rottura con i miei, stavo subendo il dolore del tradimento. Tradita dalla loro legge. Avevo un rapporto di sudditanza psicologica con la mia migliore amica. Tutti sanno che l’amicizia a questa età si avvicina fortemente all’amore ma lei cazzeggiava con le altre, mi disprezzava. Lasciò che io rimanessi ad aspettare un’ora in macchina seduta sui sedili posteriori mentre amoreggiava con Giacomo, il ragazzo del quale ero innamorata, e io a subire il cinismo del suo comportamento. Decisi di trovarmi un lavoro estivo al mare, un impiego come babysitter ad un bambinetto che rincorrevo amorevolmente tutte le mattine sulla spiaggia; ci osservava la nonna sulla sdraio di legno, un manichino fragilissimo dalla nobiltà decadente, totalmente estranea all’idea di dolore. Di notte dormivo sull’amaca per sopportare l’afa di quell’anno. Ero terribilmente prostrata e compressa in una situazione innaturale per i miei anni, ignara del decorso di questa nuova prigionia, forgia una nuova malattia. Del resto, pensare a una terza via non è nelle corde di nessuno se la soluzione proposta non si rende degna di una contropartita. Conobbi un ragazzo di Roma con il quale flirtavo sulla spiaggia: ancora non mi rendo conto del motivo per cui non scattò l’irresistibile meccanismo di attrazione fatale, probabilmente ho sempre emanato di profumo di morte. Beata gioventù, che scappi a gambe levate da qualsiasi Pietà scolpita nel petto di un essere umano, che ti nutri avidamente di debolezze, di squarci di sole e di anfetamine scadute! Rimane di quella stagione l’avido puzzo di mare e la capacità di rimanere a galla per allontanare il desiderio

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