Introduzione di Marina Agostinacchio
Testo di Alessandro D’Avenia
Voce di Chiara Omerini
Ascolta la voce che dà vibrazione al testo proposto al link: https://anchor.fm/lastanzadellevoci/episodes/Alessandro-DAvenia-le-5-cose-da-non-rimpiangere-in-punto-di-morte-e1lgl7u
Sembra quasi di attraversare con un passo di danza lento la scrittura che si apre ai nostri occhi e che ci suggerisce con garbo quale atteggiamento sarebbe utile non tenere in vita perché alla resa dei conti, nel momento finale del proprio passaggio terrestre, potremmo sentire la nostra esistenza riversarsi addosso come un macigno.
Andarsene leggeri, sapendo di avere colto le opportunità che ci aprono al noi più che all’io; questo mi è apparso il senso del testo del giovane scrittore Alessandro D’Avenia al cui tratto elegante della penna si accompagna oggi, nella nostra rubrica, il suono timbrico pastoso e suadente di Chiara Omerini
Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore.
La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.
Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni.
Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli, ”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.
Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudinein vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.
Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori.
Ciò che inferno non è, A. D’Avenia, Mondadori, 2014