Di Nerina Garofalo
Breve introduzione di Marina Agostinacchio
In vista dell’arrivo del film “Il Verdetto” (The Children Act), Lo sguardo attento di Nerina Garofalo tratteggiava, come lei sa fare con intelligenza e sensibilità, le coordinate per una lettura critica ed estetica.
Al centro della narrazione l’amore di coppia in età matura, un amore disattento da parte della protagonista, Fiona Maye, “diligente e persuasa di fare sempre la cosa giusta, in tribunale come nella vita”, specializzata in diritto di famiglia immersa totalmente nel lavoro che svolge e a cui il marito chiede reiteratamente in modi diversi uno sguardo; “Ti ricordi come eravamo…” le dice a un certo punto.
Lei è una donna giudice, assorbita fortemente dal ruolo che ricopre con passione, si trova a contatto col mondo degli adolescenti.
“Il benessere del minore deve essere per la Corte una priorità assoluta” dirà Fiona, costantemente impegnata a dovere prendere decisioni di fronte a casi di estrema difficoltà.
Difficile adempiere con rigore a quanto la protagonista si trova a dovere affrontare, sapendo equilibrare regola e ascolto, istanze culturali, sociali, attenzione alla sfera emotiva dei tanti giovani a cui deve dare delle risposte. Sempre inseguendo “l’interesse del bambino”, assioma solo in apparenza limpido ma spesso doloroso da dovere mettere in pratica, Fiona si smarrisce.
The Children Act – Il Verdetto incarna il travolgente improvviso disorientamento di fronte al quale ci potremmo imbattere nella vita “fino a rovesciarne lo spirito e spostare per sempre il cuore più in là”.
Riporto quindi il poetico e splendido scritto di Nerina del 16 ottobre 2018
Sta per arrivare in sala “Il Verdetto” (The Children Act), di Richard Eyre, già regista di “Iris, un amore vero” e di “Diario di uno scandalo”. In tempi come questi, animati da sentimenti ricalcati sulla parabola dell’odio, e spesso incalzati da tinteggiature estreme, nella realtà quanto al cinema, è un respiro grande quello che si ritrova a vedere questo film. Stilisticamente perfetto, guidato magistralmente dalla sceneggiatura di McEwan, ha una serie di incanti lacerati e laceranti, che restituiscono infine, su una piattaforma petrolifera come nel silenzio di un antico Von Triers, la profondità non nominabile e pure di continuo nominata nei gesti, nei versi, nei sogni, della parola amore. Un amore che è forma e ferita nei luoghi genitoriali, e che permea ogni minuto del film cucendo intorno al rapporto di
coppia della protagonista una tessitura finissima di incanto, onestà e bellezza. Già tantissimo avevo amato il libro, che ho trovato essere, fra i romanzi in cui si tocca il verso della domanda esistenziale soggettiva e di coppia, uno dei più belli e intensi di questi anni. Ma devo dire che il film, con una fotografia delicatissima dai colori un po’ sopiti eppur intensi, con dialoghi stringati e dolenti, con una mimica straordinaria nel non verbale degli attori, restituisce al libro una trasposizione toccante e benedetta. Una delicatissima, infinita discesa nelle domande dell’adolescenza e dell’età forte, un incedere senza retorica nella prossimità a una maturità autunnale potente e dilatata. La voce di Emma Thomson che canta arriva dritto sotto l’argine del cuore, e lì si ferma. Un’amarissima stilla di tremore e di amore di cui si sente oggi un fondamentale, spesso vano, bisogno.
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