di Daniela L.
Jung ne Il libro rosso ci racconta la quarantena di un capitano sulla sua nave, costretto a rimanere in isolamento mentre la primavera sboccia sulla terra. Il capitano parla ad un marinaio del suo modo di vivere questo tempo:
“Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un’abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere.
Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l’uomo in salute.
Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all’alba. Un vecchio indiano mi aveva detto, anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l’ora delle preghiere, l’ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita”. (tratto da Jung, Il libro rosso)
Anch’io, come il capitano della nave, mi sorprendo a coltivare innumerevoli buoni propositi: dieta sana, esercizi ginnici, brevi meditazioni, il lavoro, i compiti con mia figlia; così i miei giorni sono fitti d’impegni: dei doveri inderogabili scolastici e dei miei altrettanto urgenti doveri nei confronti della famiglia e soprattutto di me stessa (anche se questi ultimi vengono puntualmente sacrificati).
Credo sia un’occasione unica questa per fermarmi a riflettere e comprendere meglio chi sono e cosa voglio davvero, anzi vorrei di più, vorrei arrivare a toccarmi in profondità, arrivare al nocciolo di me stessa. Come molte altre donne che leggo qui sento anch’io la necessità di fermarmi per ascoltarmi e ascoltare, mio marito e mia figlia, per esempio, con cui condivido la vita e la casa, e lasciarmi contagiare da altri mondi, quello leggero e soffice di mia figlia e quello di mio marito, più sobrio ma pur sempre più lieve del mio.
Ma la testa in qualche modo continua a correre e ad essere la stessa di prima con i medesimi pensieri che inopportunamente continuo a coltivare, come un lieve, ma non innocuo, brusio di sottofondo. Nemmeno della fretta mi sono liberata. Non corro più da una parte all’altra della città ad un ritmo esaspaserato (e che sollievo il primo mese vedere l’agenda che si svuotava dei numerosi impegni precedentemente stabiliti) eppure mi sorprendo a guardare l’orologio nell’ansia famelica del tempo che fugge e mi sfugge inesorabile. Che essere misterioso il tempo, una strana inafferrabile entità che mi abita, mutando incessantemente i contorni delle cose e dei corpi. Il tempo appanna e sbiadisce ciò che ora brilla e consuma e contorce ciò che è ora pieno e diritto, il tempo si dipana lentamente o furiosamente dentro me, il tempo mi scorre attraverso. Vorrei concedermi il lusso di percepirlo fluire lentamente, come un battito esile o talvolta impetuoso, come piccole onde che s’infrangono nelle mie vene, sentirlo scorrere in me senza fretta è forse l’unico modo di afferrarlo e abitarlo davvero.
Talvolta mi sveglio in piena notte, ascolto il silenzio ovattato della casa prima di muovere i passi sul marmo freddo che mi conducono fuori, in terrazzo.
Respiro a pieni polmoni, rabbrividendo appena, l’aria tersa e pulita che sa di buono, col volto verso il cielo buio puntellato di rare stelle, esili luminescenze lontane.
Ascolto il respiro sommesso del mondo.
Credo che l’aria della città non sia mai stata così pulita negli ultimi decenni.
Ecco vorrei arrivare ad afferrarmi di più e ricominciare una nuova vita che si lasci attraversare da un defluire del tempo più lento ma non meno proficuo, fatta di piccole cose essenziali. Ma temo che, se sono da sola a pensare e volere un mondo diverso, nulla cambierà e presto dovrò riprendere la mia corsa frenetica e sarò nuovamente stritolata negli ingranaggi perversi di un sistema di vivere che l’uomo ha inventato e imposto ai suoi simili. E se riscoprissimo un altro modo di vivere? Se davvero fossimo capaci di accontentarci e goderci una sana decrescita felice, un’economia più spartana dove non necessitiamo di produrre il superfluo?