Captare il respiro della vita: visioni
Di Marina Agostinacchio
Mia madre aveva un dono particolare che lei chiamava sesto senso. Vero è che fin da ragazzina presentiva accadimenti premonitori. Ad esempio, durante la guerra, andando da Trani a Isernia, dove risiedevano i nonni paterni, arrivata a destinazione, alla casa del paese, fu presa da un’improvvisa agitazione. Costrinse i nonni a ripartire immediatamente con lei per Trani. Alle 12 in punto, Isernia fu bombardata.
Ricordo che era colta da fulminei Déjà Vu, diceva di sapere la frase o il movimento dei corpi che sarebbero stati di lì a poco. In me col tempo si è manifestata la stessa propensione. Visionaria e visiva, spesso mi capita perfino di fare fiorire parole da un’oscurità lontana, ancestrale. Prendono possesso nella mente e, come in attesa, sanno che si dispiegheranno in una linearità di pagina, agganciandosi l’una all’altra in un discorso compiuto.
Tutto emerge e sapendolo cogliere da segni impercettibili, l’intellegibile diviene chiaro, cammina da antiche zone, le culle delle civiltà, ma ci appartiene da sempre, dall’epoca prenatale, risale per essere zona luminosa.
A tal proposito, scrivevo in un articolo del 6 dicembre per il sito “Lo Scrigno di Pandora”
“E che dire di una scrittura che sgorga di nel cuore del sonno da immagini tridimensionali, in spazi incerti, sovrapposti, misteriosi? Le parole si inanellano, creano felici contrappunti sonori, sono rivelatrici di un arcano depositato in ognuno di noi. Mi è capitato di alzarmi a notte fonda e di scrivere parole che mi apparivano e si componevano in frasi; erano l’incipit di un testo. Mi sono detta col tempo che la poesia nata nei giorni successivi non era che l’eco di una dimensione personale lirica e primordiale. Dice Ben Lerner, “La nostra capacità di scrivere poesie è in un certo senso la misura della nostra umanità”, poiché chi si cimenta in questa scrittura che si avvale di un linguaggio proprio, vive in una dimensione situata tra una necessità e un sentimento di mai appagamento”.
Forse mia madre aveva in sé questo dono di tessere parole per dire di accadimenti in divenire, come un poeta quando, rabdomante, cammina in cerca di una polla d’acqua affidandosi all’ascolto dell’intimo fluire dell’acqua sottoterra.
A mia madre dedicai il libro di poesie Tra ponte e selciato (ventisei temi per mia madre), testo corredato dai “sintonici” e brillanti acquerelli dell’artista Paola Munari. Il libro edito dallo storico Centro Internazionale della grafica di Venezia, vide la luce nel 2014. Come dire che quel filo invisibile tra un univoco modo di penetrare il segreto della vita, tra madre e figlia, trovava nel depositarsi di parole e immagini su pagine il vagito di un daccapo, suo grido di esistenza.