Storie di vita!
Di Anna Ricci
Introduzione di Marina Agostinacchio
Il ricordo di Anna ci rende con plasticità e immediatezza un tempo sospeso tra realtà e fascino, filtrati dalla memoria; basta solo essere disponibile ad entrarvi, a lasciarsi raccontare dalla voce di chi questo tempo lo ha attraversato.
Non esiste più grande emozione che sfogliare i libri di scuola, studiare opere d’arte, osservare sulle lucide pagine quadri, chiese, monumenti e poi rimanerne ipnotizzati in una sorta di estasi mentre si ammirano minuziosamente dal vero.
Avevo una mini agendina da diligente alunna, qual ero, dove annotavo non solo chiese, piazze, palazzi , quadri, sculture che mi prefiggevo di visitare prima o poi, ma anche appuntavo le caratteristiche che più mi avevano colpito e sulle quali mi sarei dovuta soffermare un domani per non correre il rischio di farmi sfuggire qualcosa e l’opportunità di non poterli contemplare in tutta la loro bellezza.
Era un elenco lunghissimo che non aveva mai una fine, anzi si andava ingrossando col passare del tempo: la Cappella Sistina, favolosa fusione tra il mondo pagano e quello cristiano, il Tempietto di San Pietro in Montorio (gioiello del Bramante, esempio più alto dell’architettura rinascimentale italiana), la Chiesa di San Luigi dei Francesi con la vocazione di San Matteo del Caravaggio… e così via…
Ma mai la mia anima ha vibrato talmente forte e l’emozione provata è stata così viva e palpitante fino a quando sono “approdata “ finalmente a Pompei.
Catapultata come in una macchina del tempo, non ero più io, ma una” pompeiana” di 2000 anni fa che percorreva cardi e decumàni, girovagando in uno spazio e in un’epoca che non erano i miei.
In realtà era molto più di un sogno che si realizzava!
Era un viaggio percorso non solo con gli occhi, ma anche con la mente e con la fantasia!
Stavo visitando una città piena di gente, viva nel continuo andirivieni di persone, prese ognuno dai propri affari e dalle faccende quotidiane tipiche di una normalissima vita : quella di tutti i giorni!
Sembrava uno come tanti, ma non era una calda giornata di fine agosto del 79 d. C.; probabilmente incalzava l’ autunno, visto la grande quantità di frutti tipici di questa stagione che sono stati ritrovati sotto la spessa coltre di cenere e lava.
Entrando dalla Porta Marina in mezzo a frotte di turisti seguendo la guida con l’ombrellino giallo ci siamo immessi sulla via dell’Abbondanza, chiamata così proprio per le numerose botteghe e la bella fontana con il suo bassorilievo che reca l’immagine di una dama opulenta, l’Abbondanza appunto…e mentre lui parlava io già fantasticavo. Mi trovavo nel centro del “quadrilatero “della moda di allora.
Camminavo sul tipico selciato, con i marciapiedi per i pedoni, che portava al mare e inoltrandoci all’interno volgevo lo sguardo verso sinistra: immenso, superbo, stagliava dominando l’orizzonte il Vesuvius, una montagna dai Romani considerata amica e familiare fino a quel momento.
La mattina gli uomini uscivano per andare ai campi e i commercianti aprivano le loro botteghe spesso al piano terra, sotto le insulae, contraddistinte sugli stipiti da volti di dèi protettori o da simboli fallici disegnati sui muri, per richiamare a sé la fortuna e allontanare la iattura.
C’era chi mangiava stanco e trovava ristoro in qualche thermopolium ( i nostri fast food ) perché non era uso tornare a casa per pranzo e nell’ampio Foro, cuore pulsante della vita politica, religiosa, sociale della città, costituito da un enorme piazza rettangolare, aristocratici, avvocati, banchieri, oratori passeggiavano, intrecciando discorsi e facendo affari. Qualcuno teneva comizi e altri svolgevano ai piani superiori le funzioni amministrative.
Andando oltre, i bambini più ricchi giocavano nelle spaziose Domus, nel giardino in mezzo alle colonne del portico intorno al peristilio e le ancelle servivano cibi succulenti ai loro padroni distesi comodamente sul triclinium intenti a bere e a mangiare con gli amici in stanze sontuosamente affrescate con sfondo rosso pompeiano.
Qualcuno approfittava di questa giornata per rilassarsi un po’, diremmo noi oggi, passando dal frigidarium al calidarium per una bella sauna ristoratrice.
Ma i Romani amavano lo sport, la cultura, l’arte e non solo!
Direi amanti della vita in tutto e per tutto.
Per un attimo il mio sguardo è attratto da una lunga fila di persone in una stradina un po’ isolata: erano uomini che attendevano il turno per entrare nel “Lupanare” dove trovavano le donne che esercitavano il mestiere più antico del mondo.
Letti, stanze affrescate con immagini direi osè, in qualche caso vietate ai minori; tuttavia i Romani, si sa, erano uomini spensierati, piaceva loro divertirsi e sapevano assaporare gli agi della vita mondana.
Amavano tenersi in forma con il pugilato o la lotta nella Palestra grande, anche se badavano più a dare spettacolo che a rinvigorire il corpo.
Si intrattenevano e godevano delle rappresentazioni e dei concerti nei teatri lungo la via che portava all’Anfiteatro, situato nella parte orientale della città, per assistere ai vari combattimenti dei gladiatori.
Non dimentichiamo quanto fosse importante per loro questo detto: “mens sana in corpore sano” proprio per testimoniare la ricerca quasi spasmodica del benessere di entrambi.
Nutrivano anche un profondo senso religioso e da una parte all’altra della città non mancavano templi dedicati ad Apollo, a Venere, a Giove e a Iside. Spesso nelle domus vi erano piccoli tabernacoli dove custodivano i Lari e i Penati, sacri protettori della casa e della famiglia.
Le ville più belle erano poste verso la periferia, al di fuori della città come la villa dei Misteri, stupenda con i suoi affreschi rappresentanti riti dionisiaci e parte integrante del paesaggio insieme all’annessa azienda agricola.
Ad un certo punto vedo tredici persone scappare. Il cielo già dalla mattina si era fatto scuro e una nuvola simile a un pino stava coprendo la città.
Lì per lì, pochi ci fecero caso, ma man mano che le ore passavano il popolo di Pompei iniziò a capire che Lui si era svegliato: lapilli, pietre pomici e cenere nel giro di 24 ore avevano sorpreso gli abitanti cogliendoli nei loro abituali gesti e occupazioni.
Gaio Plinio Secondo da lontano si accorge di questa catastrofe che definisce “fenomeno naturale” e, per vederlo da vicino, va incontro alla morte fiero per aver assistito ad un avvenimento unico, che avrebbe lasciato nella storia un segno indelebile.
“La terra si scuoteva con ruggiti rabbiosi, pietre e ceneri cadevano dal cielo come grandine”. Molti edifici erano già in fiamme, i tetti crollavano, il fumo nero avvolgeva l’aria e la lava, diventata fiume bollente, aveva preso l’intera popolazione alla sprovvista. C’era chi andava verso il mare, chi si rifugiava nelle case e ognuno invano cercava scampo come i tredici dell’Orto dei fuggiaschi, gli amanti nei loro letti, i piccoli abbracciati alle madri.
Paura, terrore, sgomento. Agnelli sacrificali che hanno lasciato ai posteri, a me ( per un attimo pompeiana) paradossalmente un affresco di vita.
Morte e rinascita: come l’Araba fenice, Pompei risorge dalle sue stesse ceneri per raggiungere l’immortalità, un’esistenza senza fine.