Trascritto da Martina Ferraboschi
Di Chandra Livia Candiani
Sono stata spugna. Per molti anni, quasi tutta la
giovinezza, appena incontravo qualcuno, ero spugna.
L’avevo imparato nell’infanzia. Stai lí e assorbi tutto.
Non so come, ma quando si incontra una spugna, gli
altri si sentono invitati a parlare moltissimo. Quando
poi se ne andavano, ero stanchissima e opaca, completamente
senza riflesso. Certe volte andavo a dormire
raggomitolata sotto il piumino e quando provavano
a svegliarmi mi lamentavo e mi ci avvolgevo ancora
piú stretta, come in un bozzolo. Quando una volta finalmente
mi chiesero: «Ma cos’hai? Sei malata?» Risposi
solo: «Ho visto gente». E allora compresi che
era ora di finirla.
Per un po’ mi chiusi a riccio: non volevo piú vedere
nessuno.
Poi, dopo anni di India, di tecniche di meditazione
e di approdo a comprendere che stare con il respiro
non è una tecnica ma una storia d’amore, mi sono
tramutata, piano piano, con lenta costruzione, in fontana.
Posso ancora ascoltare, ma solo finché c’è acqua
che scorre e la fontana non trabocca. Ma soprattutto,
la fontana è lí a disposizione, chi vuole ci va a bere e
lei non assorbe niente, scorre. Il cuore non è spugna,
è fontana.
Chandra Candiani da ‘Questo immenso non sapere’ (Einaudi).