Il blog di scrittura e audio-voci femminili . Oggi da “A dimora le rose”. Monologo Hypatia
Hypatia Tratto da “A dimora le rose”
Autrice del testo e lettrice Antonella Rizzo
Sabato Monologo!
Oggi vi presento un altro dei monologhi, tratti da “A dimora le rose”-
Storie di donne infedeli al destino, di Antonella Rizzo (edizionicroce)
Puoi ascoltarne una sintesi al link-audio https://anchor.fm/lastanzadellevoci/episodes/Hypatia-Tratto-da-A-dimora-le-rose-e1m5sdb
Hypatia
Alessandria d’Egitto, 370 – Alessandria d’Egitto, 415
(Tratto da Lettera di Ipazia a Teone
FusibiliaLibri, 2017)
Ipazia d’Alessandria nacque nel 350 d.C. e morì nel 415
d.C. Filosofa neoplatonica, matematica, astronoma, scienziata
di grande ingegno diresse il Museion, la più famosa Accademia
dell’antichità. Fu martirizzata e uccisa dai monaci parabolani al
servizio del vescovo Cirillo, divenuta figura scomoda per il nuovo
potere religioso.
Monologo
Padre,
i miei pensieri attraversano le colonne del tempio di
Serapide per giungere a te.
Seppur confusi, stipati come gli adorati volumi, in
continua ribellione, io li governo tutti. Sono i solchi del
tuo viso la spinta alla mia conoscenza e la sorgente ma dre dove abbevero la mia inquietudine. Siamo materia
viva, fatti di involuzioni ed evoluzioni e i pensieri sono
ciò che plasma il nostro destino, destinandoci alla vita
o alla sopravvivenza. I miei sono di una sostanza incan descente poichè non riuscirò mai a placare il loro moto,
forse fuoco vivo nel deserto, ma sono certa che sono
architrave e timpano della nostra volontà, così fragile
ed effimera.
Credo che il mio tramonto avverrà con le sembianze
di uno spicchio di luna intriso di sangue. Che le mie pa role non siano veleno per il tuo male, Padre, perché ciò
che abbiamo edificato a sostegno della libertà non potrà
difendersi dai tempi. Ma saprò sacrificare la mia vita,
se necessario, per la verità e la conoscenza. Ho dovuto
superare la tormenta dell’invidia, morbo mortale, muro
invalicabile che gli uomini di potere hanno eretto per
proteggersi da una donna sola con un vecchio padre,
rea di conoscere la matematica e la filosofia.
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Vedi, Padre, ho scelto la solitudine e l’infertilità per es sere madre di tutti e figlia del dubbio che mi tormenta.
Io ho scelto. I miei figli, i miei discepoli mi nutrono
con le loro attenzioni, le domande che aspettano bra mose un cenno di risposta, l’opposizione alla scoperta
che genera altre verità, sono questi i doni continui che
mi vengono serviti come offerte agli Dei.
Oggi ti ringrazio ancora una volta di avermi spalanca to le porte del cielo perché la tua saggezza non andasse
dispersa e di avermi concepito Donna, come Aspasia di
Mileto e Diotima di Mantinea. Null’altro potrei volere
se non averti a lungo nella mia vita in questo squar cio di notte, mai asservita alla pratica del sonno ma alla
contemplazione degli Astri e all’esercizio del pensiero.
Quando tace il giorno ciarliero e produttivo qui, nel no stro tempio di antichi papiri di cui siamo indegni custo di, si apre una voragine nella volta celeste.
Ha il colore delle piume dei pavoni e mozza il fiato,
Padre, quando lo fisso.
Il tempo diventa luce e la mente è libera dal giogo
degli affanni, dalla fatica della pietà giusta verso i buoni
servi che rimettono a noi i loro guai. Mi perdo e tutto
mi appare comprensibile e umano, ciò che è scritto e
ciò che dobbiamo ancora scoprire. La beatitudine del
sapere è la vera gioia e l’unica ragione di vita.
Mio grande Teone e padre adorato, grazie alla tua im mensa saggezza gli insegnamenti di Platone e di Plotino
hanno attraversato il mare burrascoso della storia e tu
non hai mortificato la mia natura femminile per ren dermi erede dei tuoi saperi. Hai compreso la mia fedel tà alla grande anima dello spirito ellenico di cui i semi
sono germogliati nel mio essere, la mia incorruttibile
speranza in un mondo governato da filosofi giusti, la
mia generosità. È immenso il tuo dono e lo ammini strerò con tutta la cura possibile. E continuerò ad apri-
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re la nostra casa a tutti coloro vorrano unirsi al nostro
cerchio ad apprendere la sacralità della matematica e
dell’astronomia.
Padre, io non vedo Ebrei, Cristiani, Pagani ma solo
uomini. Il mondo argina a fatica la materia malvagia che
sta emergendo ma farò in modo che la nostra casa sia il
fulcro della libertà dove verrà avversata ogni forma di
crudeltà e di prevaricazione.
Tu ricordi Sinesio, uno dei miei più cari discepoli: egli
è cristiano ora, ma sempre a me devoto. Le nostre ani me sono in completa comunione, ed egli si rivolge a me
grato della luce che porta nel cuore, della sapienza che
non conosce religione, o razza alcuna e si fa condurre
nella nostra casa ogni volta che le decisioni più gravi lo
assillano e lo tormentano. Questo è ciò che ho appreso
dal tuo esempio.
So che non temi la morte ma la mia incolumità. Ma
io sono qui, a seguire le traiettorie della volta celeste che
sono infinitamente più grandi di ogni paura e a fissar ne i meccanismi con foga, senza badare ai bisogni del
corpo. Le loro leggi ci mettono in comunicazione con
l’immensità del mondo conosciuto e sconfigge la nostra
dipendenza dai manipolatori, dalle religioni che predi cano pace e praticano vendetta. Tu mi hai insegnato che
la geometria è l’anima delle cose, della giustizia e della
bellezza e io ammiro l’opera di Dinocrate ergersi in tut ta la sua magnificenza e splendore nella luce incerta del
mattino che pone fine al mio peregrinare, e so che la
divinità è nell’uomo stesso e nelle sue azioni complesse.
Quello che tu temi, e io più di te, è quell’uragano di
forza incontrollata che sta attraversando il nostro tem po. Ciò che avevamo realizzato, un cenacolo di menti
votate alla scoperta del cosmo intero e delle leggi che
ne regolano i processi, è minacciato dalla furia cieca dei
tori nel recinto.
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Ebbene, ci sono bestie di tutte le razze nell’arena e
ognuna vorrebbe cospargere di sangue il passato che lo
ha umiliato. Le loro divinità sono il pretesto per eserci tare la tirannia e la bramosia di potere ne è la vera mo tivazione. Costoro armano eserciti di affamati di cibo e
speranza per difendere i loro interessi e mirano alla di struzione del nostro sapere, il nemico più temibile delle
loro coscienze.
Ma io, Padre, esco dal nostro tempio e mi rallegro
quando sento tirarmi le vesti, chi per un quesito, chi per
ringraziarmi dei gratuiti insegnamenti, altri ancora dico no di scorgere un lume di speranza nei miei occhi. Essi
si nutrono del fatto che in me non risiede la mendacia
e l’inganno, poiché anche coloro che predicavano la li berazione dalle catene ne stanno forgiando delle altre,
lavorando alacremente alle incudini.
Alessandria vedrà legionari distruggere le sue mura e
i suoi papiri. Per distruggere un uomo occorre distrug gere la sua storia, e la libertà capitolerà insieme a tutte
le teste mozzate.
Ma io, Ipazia di Alessandria, figlia di Teone, temo solo
le tenebre dell’anima e non la fine della mia esistenza