Sabina Di Ruocco
Confessioni femminili
Breve introduzione di Marina Agostinacchio
Uno sguardo su un universo femminile forse oggi dimenticato…
Dalla penna di Sabina Di Ruocco, ecco uscire un ritratto di donna che rimanda a un simbolico da cui spesso, in anni passati, era difficile allontanarsi, soprattutto in certe zone del nostro Paese.
La casalinga, la moglie, la madre,a volte, più per un credo cui si doveva aderire che per scelta …
E tutto fuorché essere se stesse.
Racconto
Sola! Per la prima volta in vita mia sono sola! Mi chiedo il motivo. Guardo le mie amiche, le conoscenti, le parenti e mi sembrano tutte più fortunate di me. Sono circondate dalle attenzioni e dalle premure dei loro cari. Io invece sono sola e triste. Piango. Mi chiedo cosa ho fatto per meritarmelo.
Da ragazzina mia madre, i miei parenti, i compaesani, tutti mi hanno sempre fatto credere che se io mi fossi comportata in modo cristiano sarei stata ricompensata dalla vita. Perché le persone buone, che vivono secondo le regole, che prendono la strada più irta e difficoltosa saranno sempre premiate. Ricordo i film tutti con il loro classico lieto fine, eppure nonostante la mia età non vedo il mio. La mia vita è stata piena di salite dure e lunghissime e ogni volta che pensavo di essere arrivata al momento del mio lieto fine la vita ha continuato a richiedermi sacrifici.
Sono nata in una famiglia numerosa, dove tutti fin da bambini dovevamo lavorare. In fondo erano gli anni del secondo dopoguerra e in quel periodo la vita era dura per tutti. All’ultimo anno delle scuole medie i miei genitori stabilirono che io dovevo smettere i miei studi perché dovevo lavorare. Ero una donna in grado di gestire un negozio e proprio perché femmina potevo anche non completare gli studi. I miei fratelli, invece, dovevano diventare dottori. Io in fondo dovevo essere semplicemente una moglie e una madre, quando avrei smesso il mio ruolo di figlia lavoratrice.
Chinai il capo e mi tirai su le maniche. Il negozio non era difficile da gestire, neanche per una tredicenne; i miei sogni di infermiera, invece, si dissolsero insieme ai miei sogni di ragazzina. Intanto gli anni passarono e divenni veramente una donna, almeno anagraficamente. In realtà oggi mi rendo conto che ero ancora una ragazzina piena di sogni ed illusioni, quelli che tutti mi avevano inculcato come legittimi e veri, come l’unica realtà possibile e desiderabile.
Divenuta adulta iniziarono i primi corteggiatori ed io mi sentivo felice. La mia fiaba si sarebbe avverata, avrei conosciuto il mio principe azzurro che avrebbe fatto di me la principessa e quindi avremmo vissuto felici e contenti. Ma per raggiungere la felicità bisognava affrontare una nuova salita, fatta di rinunce e sacrifici.
L’uomo che è diventato mio marito sapeva farmi ridere, sorprendermi, farmi sentire amata. Accanto a lui mi sentivo bene, era un uomo affidabile e anche lui plagiato da quegli stessi valori che mi erano stati inculcati. Forse un po’ più disincantato, ma era un sognatore come me. Onesto. Lavoratore. Ha sempre vissuto la vita secondo le regole. Quando decidemmo di condividere la nostra vita io chiusi il negozio dei miei genitori e mi dedicai interamente alla mia nuova famiglia. Appena sposati rimasi incinta e dopo nove mesi ebbi il nostro primo figlio. Tre anni dopo avemmo il secondo figlio e con lui sentimmo il bisogno di una casa nostra. Certo la vita coniugale non era semplice sia perché lui era testardo, non che io non lo fossi ma ho sempre ceduto io, sia per le difficoltà economiche che scaturivano dall’avere un solo stipendio. Per risolvere il secondo problema ricominciai a lavorare, ma non in un negozio, realizzavo dei campionari per un’azienda manifatturiera. Questo lavoro mi permetteva di guadagnare qualcosa senza dovermi allontanare da casa e continuare la mia vita di moglie e madre.
In quegli anni dormivo poche ore per notte, perché lavoravo soprattutto la sera tardi, quando i miei figli erano a letto. Mio marito mi aiutava come poteva, ma lo stress era tanto e alcune volte ho avuto delle crisi di nervi. Ero però convinta che alla fine della salita avrei vissuto il mio lieto fine e ciò mi faceva stringere i denti e andare avanti.
Gli anni passarono, i debiti cessarono e i figli, nostro grande orgoglio, lasciarono ad uno ad uno il nostro nido. Io e mio marito ci sentimmo un po’ svuotati, la nostra casa era diventata improvvisamente troppo grande e aspettavamo con ansia le visite dei nostri figli. Abbiamo faticato un po’ a capire che era arrivato il nostro lieto fine, a capire che tutti quegli anni di sacrifici erano stati ricompensati con la tranquillità economica. E’ stato allora che sono subentrati i nostri problemi di salute. Tu mi hai lasciata una mattina d’estate. Certo non era quello che volevi. Sognavi i nipotini, i viaggi insieme intorno al mondo, la compagnia mia, dei tuoi amici e dei tuoi figli. Ed io. Io ho perso il mio compagno,il mio sostegno, i nostri sogni.
Per la prima volta sono veramente sola. Non ho più con me chi mi infonda sicurezza, chi mi protegga, chi continua a dare senso alla vita che ho vissuto. Sono spaventata perché ho sempre avuto qualcuno che mi accompagnava nelle mie decisioni, nelle mie scelte, nelle visite mediche o nei miei viaggi. Adesso per la prima volta nella mia vita sono sola. Devo fare affidamento solo su me stessa e a questo non sono stata preparata. Adesso potrei essere me stessa, ma chi sono? Ho dovuto rinunciare a me a soli tredici anni per seguire quello che mi veniva richiesto. Faccio fatica ad accettare il mio nuovo stato, cerco di dare un senso alla mia vita.
Io che ho lottato tanto per costruire un futuro migliore per me e per la mia famiglia, adesso mi volto indietro e mi chiedo se ne è valsa veramente la pena. Ho vissuto la vita così come mi è stato chiesto di viverla. Da figlia che deve rinunciare ai suoi studi e alla sua infanzia per lavorare, da moglie e madre che deve sacrificarsi per dare stabilità e benessere. E adesso dopo che per sessantanni mi è stato chiesto di seguire un modello e rinunciare a me stessa, adesso che ho aderito in pieno, adesso che avrei dovuto godere di quei piaceri mi sento una scarpa vecchia che non serve più e che nessuno vuole più.
Sono stata capace di raggiungere sempre gli obiettivi che mi venivano dati, ma ne è valsa veramente la pena. Ho fatto quanto mi veniva richiesto, ho sacrificato il mio io per essere adeguata alle pressioni che mi venivano fatte in funzione di una promessa che oggi vedo sfumare e mi chiedo se non ho sbagliato tutto nella vita.