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Teatro: LA SIGNORINA JULIE

Sabato Teatro!
Introduzione di Marina Agostinacchio

Per i monologhi teatrali del sabato, ecco LA SIGNORINA JULIE di August Strindberg.
Voce recitante di Laura Catarsi

Ascolta al link:
https://anchor.fm/lastanzadellevoci/episodes/LA-SIGNORINA-JULIE-di-August-Strindberg-e1ljah8

La vicenda non si svolge in un salotto aristocratico ma all’interno della cucina.
L’atto unico di Strindberg vuole evidenziare lo scontro trai sessi e tra le classi sociali. Scontri destinati a una fine drammatica.
Da una parte vediamo Julie, una donna della società svedese di fine ottocento.
Dall’altra parte c’è Jean, un servo che nutre avversione per la sua condizione.
Come Julie, Jean avverte insofferenza; l’una riveste un ruolo di sottomissione nella sua posizione di donna e figlia aristocratica, l’altro anela a una liberazione dal rango sociale che lo vede costretto a un tipo di vita priva di progetti.
Jean, pertanto, vuole cambiare la sua vita. E Julie gli dà la possibilità di realizzate il suo piano. Forse già da tempo aveva in mente di scappare con la donna e il suo denaro.

Il monologo di Laura riguarda il momento in cui Julie ha consapevolezza della situazione in cui si è messa. Ha perso la testa per Jean, un uomo che credeva romantico. Non può fuggire da sé e pensa che Jean ha ragione quando le dice che non le resta che uccidersi.
Julie non piange, è una donna molto orgogliosa che dirige la propria disperazione con parole crudeli, colme di rabbia e cattiveria nei confronti di Jean.

Testo del monologo
Tu credevi che io non sopportassi la vista del sangue! Così debole, mi credevi.

Oh… il tuo sangue, il tuo cervello vorrei vedere su quel ceppo! Tutti quelli del tuo sesso vorrei veder nuotare nel sangue!…

Credo che potrei berci, nel tuo teschio… vorrei bagnarmi i piedi nel tuo torace… potrei mangiarmi arrosto il tuo cuore…

tu mi credi debole… tu credi che io ti ami… perché il mio ventre ha desiderato il tuo seme… tu credi che io voglia portare sotto il mio cuore la tua genia… e nutrirla col mio sangue… partorire tuo figlio e assumere il tuo nome. Ma come ti chiami tu veramente? Sai che io il tuo cognome non l’ho mai sentito? Ma ce l’hai tu un cognome? Scommetto che non ne hai neanche uno. Ah, ecco come dovevo chiamarmi: signora Portineria o Madame Pattumiera.

Cane col mio collare… schiavo col mio stemma sui polsini!… Io, spartirti con la mia cuoca… io, avere come rivale la mia serva…

oh, oh, oh, tu mi credi vile, e pensi che voglia fuggire… invece no… ora rimango! E s’abbatta pure il fulmine! Mio padre torna, trova la scrivania scassinata… il suo denaro scomparso… allora suona il campanello, quel campanello… due volte… per il cameriere… e manda a chiamare la polizia… e allora io dico tutto! Tutto!

Che bello farla finita. Purché finisca. E poi a lui viene un malore… e muore.

E per noi è la fine! E allora viene la pace… il silenzio! La quiete eterna! E lo stemma di famiglia si schianta contro il catafalco… e la stirpe dei conti è stroncata… e la razza dei servi trasloca all’ospizio dei trovatelli e conquista allori fra le fogne, e finisce nelle galere!

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