Essere se stessi: amore e tenere gelosie.
Testo di Carmen Grattacaso.
Raccontare e raccontarsi, rivivendo il passato e provare ad analizzare i propri comportamenti alla luce degli anni trascorsi.
Attraverso questo ritratto d’infanzia, scopriamo come tratti distintivi del carattere prendano già cittadinanza dalla tenera età.
Abitavamo a Salerno.
Nella cosiddetta “casavecchia” del palazzo Lettieri, costruita dal mio bisnonno, che faceva di cognome, appunto Lettieri, si svolgevano per la maggior parte del tempo le nostre vite.
Nelle foto dell’epoca in bianco e nero, ai compleanni di noi tre bambini, c’erano sempre i parenti più stretti, i cuginetti, e qualche amichetto o amichetta del palazzo.
Fui fotografata a un mese, con la testa che ciondolava su alcuni cuscini bianchi ricamati, messi vicino a una parete; accanto a me c’era mio fratello Gabriele col viso buono e gli occhi verdi e sinceri.
Nelle foto di quel periodo, c’è anche un’altra bambina, poco più grande di mio fratello, ma molto più alta, che lo amava già come un’innamorata vera.
Era gelosa di me, forse mi odiava, mi faceva sempre le linguacce, quando nessuno la vedeva. Molti condomini erano nostri parenti, ma non la bambina con la nocca.
Si chiamava Rosa e aveva sempre una nocca al lato destro della testa. Quando veniva il fotografo per occasioni particolari, Rosa si metteva al centro della scena con il suo bel vestito bianco di tulle. Sembrava fosse lei la festeggiata.
Alcune persone oggi mi chiedono: «Chi è questa bambina?»
« Niente» rispondo io «una che stava sempre in mezzo … ».
Un giorno, intorno ai miei quattro anni, Rosa si avvicinò a me, mentre giocavo da sola a fare i tuffi dalla poltrona dello studio di mio padre.
« Vuoi fare un tuffo più bello?» mi chiese. « Tu ti tuffi e io ti prendo».
Caddi con la fronte per terra, poiché lei lasciò andare le braccia, all’ultimo momento, con l’intenzione di non prendermi.
Mi feci molto male. Fu chiamato il medico, mentre io piangevo e strillavo.
Da allora, e non credo sia un caso, soffro di mal di testa cronico.
In tante foto di famiglia di quel periodo, ci sono io con l’enorme bubbone al centro della fronte, con una faccia arrabbiata perché non volevo più essere fotografata.
Nel ricordo, rivedo seduto sul divano del salotto il medico, che scriveva ricette.
Risento la voce dolce di mia madre parlare con la nonna della bambina con la nocca. La nonna, umiliata, chiese scusa. Io mi stringevo a mia madre, approfittando della sua preoccupazione per me.
Per un po’ di tempo provai rancore verso mia madre, che continuò a ospitare quella bambina a casa nostra a farsi le fotografie e a giocare con Gabriele. Però, almeno, aveva perso la sua aria baldanzosa e non mi faceva più le linguacce.
Nonostante ciò, quando la vedevo mi andavo a nascondere.