Passeggeri notturni: Daniela e i “Paesaggi d’anime”
Come “Passeggeri notturni”…
Siamo passeggeri, spettatori della vita, dentro la vita….
Oggi si dispiega al proprio racconto di vita Daniela.
Avventurieri dello spirito, intraprendiamo un viaggio volto alla scoperta di noi stessi e, forse, al conseguimento della pace interiore intensamente desiderata.
Passeggeri itineranti della notte, luogo del silenzio, della solitudine, della pausa.
Tempo di visioni, ricordi, proiezioni di un’intera esistenza, premonitrice della propria metamorfosi.
Paesaggi d’anime
La prima anima in cui mi sono imbattuta è stata quella di mia madre, energia calda e triste, furore trattenuto, piacere negato, ribollire di acque ferme.
E’ stata la mia piccola mano nella sua, un pesciolino rosso che si dibatte in una mano più grande che lo stringe appena un po’ più del dovuto, sono stati i miei occhi che guardavano verso i suoi con una preghiera silenziosa mentre il suo sguardo scrutava sempre lontano, dritto davanti a sé. Mai rivolto verso di me, guardava la strada che si snodava lunga e piatta davanti ai suoi passi frettolosi.
Presto nella mia vita ti ho incontrato, ti ho annusato, ti ho riconosciuto simile a me e ho deciso che saresti stato il mio compagno di vita.
Stessa dolcezza e sensibilità, lo stesso rispetto per la vita e la bellezza, ma in te ho trovato la pazienza che non mi appartiene, la capacità di sacrificio e una dedizione calda.
Sorrisi e sguardi in cui naufragare appagata, una timidezza che è riservata delicatezza e timore al contempo di afferrare il dolore insieme al piacere.
E subito ho percepito la profondità delle tue acque inesplorate, un oceano lussureggiante e fecondo che balugina per brevi tratti su una superficie quieta, mossa dalla brezza marina. Sei un pesce che guizza, apparentemente docile e facile alla presa, in realtà refrattario ad ogni cattura.
E mi smarrisco nel celeste limpido dei tuoi occhi e vorrei inabissarmi nel blu cobalto delle tue profondità marine. E’ l’odore dell’oceano ad attrarmi in te, la sua vita intensa e rigogliosa, sono i contrasti della luce soffusa che traspare in superficie e le ombre fitte che si celano sul fondo, la gamma estesa dei colori e le molteplici forme e sapori, come in un quadro complesso e sfumato.
Mi lascio cullare dalle onde. A tratti il mare s’increspa dolcemente, l’acqua tiepida lambisce la pelle, l’onda si gonfia, mi travolge. Mi lascio condurre. Galleggio sulle creste delle onde quando il cielo chiama l’acqua a sé e precipito giù nel blu notte dove la pelle diviene fradicia e grinzosa e dove mi lascio trascinare, avviluppare. I capelli s’intrecciano alle alghe, l’acqua inzuppa la pelle, rammollisce i tessuti e poi improvviso un nuovo impeto mi trasporta su verso l’azzurro terso.
Spesso sono rimasta intrappolata nelle tue profondità, nel blu inaccessibile.
Ho provato per svariati anni a penetrare nel fitto del tuo mistero, ostinata e decisa all’inizio. Mi chiedo quando sia accaduto, quando io mi sia arresa e abbia iniziato a camminare al tuo fianco su una strada parallela, destinata a non incrociare la tua, se allungavo una mano verso di te ti sfioravo appena senza che tu te ne accorgessi.
La tua anima invece l’ho riconosciuta inaspettatamente, all’improvviso, con un sussulto della mia, una scossa. Dapprima ho annusato uno scalpitare di terra, gli zoccoli umidi e fangosi di un nero purosangue indomito che cavalca praterie selvagge. E il mio feroce desiderio di libertà si è risvegliato.
Questa credo sia stata la prima impressione.
Poi col tempo ho compreso che quel furore era solo una facciata, che quel cavallo ripercorreva inferocito lo stanco perimetro di uno spazio ristretto e recintato, nel muso l’odioso bavaglio delle briglie.
E quando mi sono avvicinata per comprendere come mai tutta quell’energia non era al servizio di una feconda libertà, sono penetrata nel cuore di tenebra del tuo centro chiuso e dopo la terra fresca ho trovato il fango e poi acque stagnanti.
E’ un desolato paesaggio nordico il tuo, terra arsa dal gelo, brughiere selvagge e solitudini ancestrali, erba bruciata e arbusti sferzati da un vento implacabile.
Fredda terra nera dove i semi cadono inutili, perché nulla li nutre.
E al centro quello stagno, oscuro, dove la luce del sole non è mai giunta, pozza acida di dolore, le cui acque non hanno mai conosciuto né luce né calore, solo quest’immobilità feroce e raggelata, questo odio fermo e implacabile.
E poi sei arrivata tu, un fresco vento primaverile, uno scampanellio festoso in una giornata che si preannuncia chiara e tersa fin dal mattino, una corsa a perdifiato nell’erba alta e colline dolci dalle quali srotolare giù per darsi alla pazza gioia.
E mi addentro nel bosco fitto, la vita che freme in attesa, prorompente, limpide le voci degli uccelli, foglie che volteggiano nel vento e il richiamo di un gufo che bubola.
Perché il mondo è un buon posto dove stare, come mi hai detto un giorno mentre passeggiavamo, mano nella mano, sul lungo fiume, con passi veloci e leggeri. Ad un tratto ti sei fermata costringendo anche me ad una sosta, hai chiuso gli occhi assaporando il sole sulle guance e poi li hai spalancati, intensi e traboccanti di mistero: “il mondo è un buon posto dove stare” hai sentenziato. Un luogo soffice, senza asprezze, il sapore del latte nella bocca e un letto lindo dove sprofondare perché tenera è la notte e perfino il buio non fa paura.
Sei il profumo della terra fresca, sei pioggia scintillante dopo giorni di arsura e la pelle nuda che rende grazie. Sei battito veloce di ali, un volo libero ad ali spiegate e dai mamma fallo ancora e ancora una volta, ti prego e spingimi più veloce sull’altalena che sono pronta a volare ma non ti spaventare che poi ritorno da te. E’ ancora presto perché spicchi un volo ampio che mi porterà via…