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Oltre ogni pianificazione

di Daniela Meneghello

Mi son portata delle verifiche da correggere nella borsa dovendo svolgere due ore di supplenza in una classe sconosciuta, senza nessuna indicazione dai loro insegnanti. “Loro faranno dei compiti” pianifico fra me.
Quando ce li ho di fronte capisco però che quei ragazzini in mattinata avranno tre ore di supplenza, visto che son due i professori assenti. Di compiti non ne hanno, ma solo il materiale per tecnologia e basta.
Li guardo. Uno è già pronto a impegnare due ore facendo confusione. Gli altri ci pensano. Una si organizza con un disegno. L’allievo cinese già improvvisa origami. Un altro mi fissa, in attesa.
Sospiro. Butto l’ultima occhiata alle verifiche, ma già cerco nella borsa un libricino che mi serviva per la classe in cui insegno.
Prima inizio a raccontare, fra un po’ di brusio, poi a leggere. I rumori di sottofondo si abbassano. Leggo “Oscar e la dama in rosa”. Lo studente che mi fissava, ora è il primo a seguirmi con lo sguardo, mentre passeggio leggendo. Ogni tanto mi fermo, li interpello per chiarire o capire se han capito, per sentire cosa pensano. Sorridono quando leggo una parolaccia. Non sembrano tutti attenti: ad esempio la ragazzina laggiù disegna, però chi prima, chi dopo, tutti tengono il conto degli anni che passano ad ogni nuovo capitolo. Alla fine di ogni lettera, per altro, chiedo se devo proseguire, ma dopo le prime volte è già una domanda retorica, un rito.
Continua il soliloquio dell’alunno indisciplinato, ma non è più un mio problema: sono i compagni che vogliono sentire a contenerlo. Pure lui del resto, pur volendo richiamare l’attenzione, segue la storia, ogni tanto la commenta.
Continuamo così. Fino alla fine del libro. Leggendo ho l’impressione di accarezzarli con la voce. Loro ascoltano, s’immedesimano, s’interrogano, alla fine di ogni capitoletto intervengono. All’ultima lettera persino chi disturbava respira più piano.
Ultima parola.
Silenzio.
Poi parte un applauso.
Uno addirittura laggiù piange senza farsi tanto vedere.

Bello il mio mestiere, l’avevo detto?

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