Di Marina Agostinacchio
Il fatto:
Il 25 Novembre serve a ricordare la violenza a chi non l’ha vissuta. Per chi c’è passato il senso è diverso: essere capiti – e aiutati – un pelo di più dagli altri. Una ragazza che ha perso la madre per mano dell’ex partner racconta la sua storia, e il gruppo che ha creato per favorire l’aiuto reciproco tra gli “orfani di femminicidio”
Florencia aveva 12 anni quando sua mamma Antonia è stata uccisa dall’uomo con cui aveva avuto una relazione e dal quale aveva avuto il suo terzo figlio.
Florencia non ha voluto dimenticare: si è tatuata sul braccio ciò che è successo a sua madre, per tenerlo bene a mente, insieme ai nomi dei suoi due fratelli.
Antonia, la madre, aveva lasciato il padre di Florencia, dopo aver scoperto aveva una ex moglie di cui non le aveva mai parlato, oltre ad una relazione parallela. Lui la scelta di chiudere non l’aveva presa bene.
“La minacciava, telefonava qui e nel posto dove mia mamma lavorava per insultarla. Io lo sapevo che sarebbe successo, perché lui lo diceva che avrebbe ucciso mia mamma”, dice Florencia e prosegue: “Una volta lui aveva cercato di investirla con l’auto sotto casa, io avevo chiamato il 113 e lo avevo gridato dalla finestra. Lui a quel punto era scappato, quando arrivarono i poliziotti dissero: ‘Ci dispiace ma senza prove possiamo fare poco’ ” .
Per aiutare chi ha vissuto quello che ha vissuto lei, che durante la pandemia ha creato il gruppo “Noi orfani speciali”. Il gruppo serve ad aiutarsi e passarsi contatti – di associazioni, di psicologi. “Perché oggi c’è più rete, ma non c’è più attenzione, non sempre si capisce di che cosa un orfano come noi ha bisogno. Con questo gruppo io faccio da tramite con le associazioni che ho conosciuto negli anni, ma soprattutto con questo gruppo ci sentiamo meno invisibili”.
Da tempo al centro della cronaca i femminicidi occupano una posizione quasi centrale. E stata persino dedicata una giornata di memoria delle vittime, per non dimenticare. Ma cosa non funziona nonostante i dibattiti, gli articoli di giornali, le iniziative cittadine e nazionali e l’istituzione di progetti scolastici finalizzati alla riflessione e alle iniziative all’interno delle stesse scuole?
Estirpare una tendenza che si è fatta sempre più atteggiamento culturale e sociale è davvero un’impresa titanica.
Incominciare daccapo, azzerare atteggiamenti, gesti portati alle estreme conseguenze… tutto necessita di tempo, partendo da un ricambio generazionale, dalla fatica di ripartire da sé, “metonimizzando” quanto vediamo, ciò a cui assistiamo, anche solo virtualmente, descrivendo e riflettendo su ogni più piccolo comportamento umano. Le prime comunità sociali, famiglia e scuola, possono davvero iniziare a “educare” attraverso uno stile di vita sobrio e maggiormente rigoroso, dialogante e coerente. I comportamenti di vita spesso agiscono più delle parole.
Prendere o riprendere in mano scrittori e filosofi del passato per filtrarne il pensiero alla luce dell’oggi maggiormente dinamico e complesso potrebbe costituire un tassello importante alla formazione dell’individuo.
Penso, inoltre, di non allentare la morsa della protesta e dell’isolamento di atti violenti in ogni loro aspetto, da quello psicologico e quello fisico. Ricordo parecchi anni fa il perpetrarsi di episodi aberranti qui, in Italia.
Era divenuta quasi una moda gettare, da parte di ragazzi, pietre da cavalcavia su autostrade su cui passavano veicoli di diverso tipo.
In un suo articolo Indro Montanelli scriveva dell’importanza di rinobilitare il sentimento della vergogna che sarebbe indispensabile per prendere consapevolezza del proprio agire. Chi assiste ad atti di violenza o anche ne viene solo a conoscenza ha il dovere di indicare pubblicamente nomi ed azioni. Forse l’uso abuso del rispetto della “privacy” ha lasciato spazio al convincimento che tutto si possa in nome della propria libertà e del dovuto rispetto al legittimo individualismo.
Certo, molto di quanto avviene affonda radici in atti di abbandono sociale e di politiche di scarsa attenzione ai bisogni primari dell’uomo, dalla casa e dal lavoro, dalla famiglia al sostegno dell’istruzione dei figli fino al loro inserimento nella società.
Tuttavia è evidente la metamorfosi della società, da un insieme- organismo di relazione, di pluri-aiuto, di controllo sociale volto al bene degli individui, ad un libero apparato di esseri che paiono autoprodursi e auto-esprimere il proprio io narrante al di là del contesto in cui sono immersi.
Isole, atolli, sempre meno connessi agli altri: questo sentirsi meno appartenenti al sistema mondo, filtrato attraverso gli occhi, toccato con le mani, udito dal vivo, ha contribuito a fare perdere di vista l’uomo, la persona che si realizza nella propria identità e completezza solo attraverso l’altro.