La strega e la fanciulla: Incontrare la madre oscura
Riconoscere la natura arcaica e bipolare del femminino
Di Erika Maderna
Breve introduzione di Marina Agostinacchio
Nel mito, come nelle fiabe, la figura femminile si trova a dovere affrontare prove che a volte paiono impossibili. Dee, streghe, “matrigne glaciali, intransigenti e crudeli” rappresentano “presenze interiori” con cui dovremo prima o poi fare i conti. Riconoscere il nemico significa accettare di sostare nella loro dimora; solo così potremo imparare a conoscerci e a riconoscerci, portare alla coscienza il magma nero rimosso, le pulsioni e le creature che si agitano in noi in profondità. Esse sono forze indomite, divergenti dall’immagine di noi sublimata, frutto ancora troppo immaturo e parziale del proprio sé femminile.
La strega e la fanciulla: Incontrare la madre oscura
Se proviamo a sostituire ogni eroina mitica o fiabesca con la nostra coscienza, ci sorprenderemo di quante volte anche noi abbiamo dovuto separare i semi di frumento da quelli di orzo o papavero in una sola notte. Rammenteremo di quando, incatenate a una roccia, abbiamo atteso che un titano emergesse dai flutti per divorarci, di quando abbiamo dato retta al lupo ma poi lo abbiamo fregato. Sapremo di avere dormito per cento anni nelle viscere di una montagna di cristallo. Forse ci sono cose che non abbiamo ancora sperimentato: preparare la cena a una strega, sprimacciare i cuscini di piuma di una fata gentile, vestire un abito colore delle stelle. Ma siamo ancora in tempo: fra il c’era una volta e il vissero felici c’è l’eterno trascorrere delle possibilità.
In ogni narrazione archetipica, il palcoscenico su cui si muovono protagonisti e comparse è quello della nostra psiche, dove ogni personaggio reclama la propria importanza, vuole essere riconosciuto, ritrovato, riappacificato. Perfino i più scomodi o temibili. Anzi, sono proprio quelli a richiederci maggiore considerazione: come avviene nelle fiabe, ci invitano a metterci al loro servizio. Prendersi cura di certe presenze interiori significa accettare di essere ospiti nella loro casa, di nutrirle, tenerne pulite le stanze, talora obbedire a richieste apparentemente incomprensibili. Nei miti questo passaggio avviene ogni volta che un eroe o un’eroina si mettono al servizio di una dea crudele ed esigente, oppure di una strega, se si tratta di una fiaba. Accade a Eracle, quando Era lo costringe a compiere le celebri dodici fatiche, e accade a Psiche quando, abbandonata da Eros, viene maltrattata da Venere e costretta a superare prove estenuanti. Non ci stupisce constatare che la dea dell’amore torturi Psiche, perché la nostra anima sa quanto l’amore possa generare sofferenza. Eppure, facendone esperienza si impara a dominarla e a trasformarla, quella sofferenza. Quella che Venere pretende da Psiche è una resa al suo mistero, che permette l’intervento di magici aiutanti, quali le formiche, simbolo della capacità di ritrovare l’ordine segreto nel caos dell’inconscio, che aiuteranno Psiche a separare enormi mucchi di semi diversi dividendoli per tipo.
Nelle fiabe, il materno ambivalente assume i connotati di matrigne glaciali, intransigenti e crudeli, sostitutive della madre amorevole la cui morte è spesso una premessa necessaria allo sviluppo fiabesco. Ma è soprattutto la strega, come proiezione del femminino bipolare, la grande iniziatrice della fanciulla, ammesso che essa trovi il coraggio di inoltrarsi nella foresta e bussare alla sua porta. Dovrà superare, come farà Vassilissa, l’orrore per le ossa umane e i teschi che costituiscono lo steccato della casa della Baba Jaga, dovrà sostenere la vista delle sue orbite cieche, rivolte a un impenetrabile mondo interiore. Come Gretel, dovrà affrontare un’orchessa divoratrice.
Spesso queste streghe pretendono che l’eroina si trattenga mettendosi al loro servizio, che rassettino e tengano in ordine la casa, che preparino e servano i pasti. È audace chi sceglie di convivere con la strega, intuendo quanto essa abbia da offrire. Madama Holle ha lunghi denti affilati, ma sembra gentile, e assicura alla ragazzina che se farà per bene tutte le faccende, se terrà in ordine i letti sprimacciando a dovere i cuscini, non le accadrà nulla di male. Ma la vecchia può imporre servigi in apparenza impossibili da svolgere. A Vassilissa la Baba Jaga chiede di separare in breve tempo i semi di papavero da un cumulo di sporcizia, se vuole che il fuoco del camino le venga restituito. Perché va detto: la strega è una laboriosa alchimista e a lei appartiene il fuoco in grado di riportare calore, domestico e psichico. Come si vede, il tema della separazione dei semi trasmigra dal mito alla fiaba, suggerendo l’importanza di mettere ordine nel mucchio delle potenzialità latenti e di imparare a scegliere consapevolmente, affidandosi a doti inconsce quali pazienza, coraggio, istinto, che nel caso di Vassilissa si manifestano nell’azione soccorritrice della bambolina donata dalla buona madre sul letto di morte e preziosamente custodita nella tasca del grembiule.
L’eroina ha portato alla coscienza le forze oscure rimosse, i desideri e le presenze inconsce, energie indisciplinate incompatibili con un’immagine tanto idealizzata e acerba quanto incompleta della propria femminilità. Nel contatto con la natura arcaica e bipolare del femminino ha imparato a integrare la potenziale aggressività, la distruttività in agguato, l’esercizio del potere, con l’aspetto soccorrevole, benigno e saggio dell’antenata. Il sacrificio ha dunque recuperato la sua antica valenza di servizio sacro e la psiche della fanciulla ne sarà trasformata per sempre. Ma solo perché ha saputo arrendersi, ascoltare, fare le domande giuste.
Erika Maderna, laureata in lettere classiche e grande appassionata di cultura antica, è autrice di libri e articoli. Predilige i temi del femminile, il mito e i suoi simboli.
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