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La rubrica del mercoledì: Diritti Traditi: quella della porta accanto L’APPARTAMENTO ACCANTO

Autunno e dintorni di scrittura La rubrica del mercoledì: Diritti Traditi: quella della porta accanto Si tratta di portare, da “cronista improvvista”, vite di donne che faticano a vedersi riconosciute i propri diritti nel lavoro, nella vita di ogni giorno, il diritto al rispetto di quello che si è… Potrebbe essere un’ artista, una vicina di casa, una mamma, un’ amica, una nonna…

Oggi Elena Manno ci presenta una storia di vita toccante e sconvolgente.”Quanti diritti negati, quanta angoscia, quanta sofferenza”, scrive Elena.

L’APPARTAMENTO ACCANTO di Elena Manno

Siamo sedute al tavolo della sua cucina. M. è arrivata un mese fa nell’appartamento accanto al mio. E’ intorno alla trentina, alta, slanciata con lunghi capelli biondi. Ha un figlio di nove-dieci anni, biondo come lei, molto vivace, quasi nervoso. Fino ad oggi abbiamo scambiato solo qualche parola di cortesia sul pianerottolo, ecco perché sono rimasta un po’ sorpresa quando mi ha invitato ad entrare da lei per un caffè.
“Allora” le domando “come ti trovi in questo appartamento?”
“Mah, cosa vuoi, l’ho affittato già ammobiliato… anonimo…”
“Beh, puoi sempre aggiungere qualche elemento per personalizzarlo…”
Lei non risponde e io sinceramente non so bene di cosa parlare. Non è che siamo in confidenza… Per fortuna entra il ragazzo nella stanza, chiede un bicchiere di succo di frutta. Lei glielo versa, il ragazzo torna in camera sua. Improvvisamente lei si gira verso di me e mi dice:
“In realtà ce ne andiamo stasera”
“Ve ne andate… come? In che senso?”
Si toglie lentamente gli occhiali da sole e, mentre lo fa, io penso che sì, effettivamente è strano che li abbia tenuti in casa tutto questo tempo, non c’è poi così tanta luce…
Rimango senza parole. Tutt’intorno ad un occhio e più sotto, sulla guancia, si distingue una macchia bluastra, già quasi violacea in alcuni punti.
“Oh mamma mia!” esclamo “Cosa ti è successo?”
“E’ stato il mio compagno. E’ violento, se qualcosa non gli va reagisce con insulti, minacce e anche …botte”.
“L’hai denunciato?”
“Sì, certo, ho anche ottenuto un ordine restrittivo. Sono in attesa della sentenza di affidamento esclusivo di mio figlio, Carlo”
“Ma.. e allora, questo appartamento? Dove vivevi prima?”
“Senti” mi risponde “meno ti dico e meglio è per te, non vorrei metterti nei guai”
Beh, a dirla tutta a questo punto comincio ad essere un po’ irrequieta. Non è che, per buon vicinato, mi sono cacciata in una brutta storia? Però, poverina.. Lei continua:
“Vengo da un’altra città, ho dovuto lasciare tutto. La mia vita è stravolta. Ho lasciato il lavoro, i miei amici, la famiglia, tutte le mie abitudini. Ma ancora non sono al sicuro”
“E cosa pensi di fare allora?”
“Tra poco passa a prendermi un caro amico. Mi ha fatto ottenere un trasferimento all’estero. Per ora però devo andare via di nascosto, finché la situazione giuridica non si sistemerà, anche per l’affido di Carlo”.
“E il tuo compagno non sa che ti trovi qui? E che stai per partire?” domando dubbiosa.
“No no, almeno per quanto ne so. Ma ho paura a stare da sola. Ecco perché ho trovato il coraggio di chiederti di farmi compagnia fino a stasera. Se puoi, se vuoi, se te la senti”.
Rimugino tra me e me. Posso? Voglio? Me la sento? Lei mi sta comunicando una sensazione di disagio; come se l’atmosfera della stanza si riempisse davvero della sua paura. Mi pare di immaginarlo, questo compagno violento, che arriva all’improvviso e.. chissà cosa potrebbe succedere…
Riprende a parlare. “Ho provato di tutto, sai. Mi sono data la colpa tante volte per il suo comportamento, ho cercato di perdonarlo, di scusarlo. Ho eliminato dalla mia vita tutte le persone che non gli andavano a genio. Ho rinunciato a fare progetti per il futuro, ad occuparmi delle attività che, prima di conoscerlo, mi divertivano. Ma è andata sempre peggio, e quando ha iniziato a picchiarmi davanti a Carlo ho capito che dovevo decidermi a lasciarlo”.
Quanti diritti negati, quanta angoscia, quanta sofferenza.
“M.” rispondo “non ti preoccupare. Resto con voi. Ti racconto qualcosa su questa città che non hai fatto in tempo a conoscere…”
Così passa un’ora, poi ne passa un’altra. Riusciamo persino a ridere ogni tanto. Ma continuo a sentire questa palpabile atmosfera di paura, di sconforto, di rinuncia.
Finalmente suonano al citofono. Un tuffo al cuore… lei controlla, tutto a posto, è l’amico fidato. I borsoni li ha già pronti nell’ingresso. Chiama il figlio, usciamo sul pianerottolo. Ci abbracciamo. Sotto gli occhiali da sole, che si è rimessa, su quella guancia che so essere violacea, vedo scorrere le lacrime.
“Grazie” mi dice con voce rotta.
“Buona fortuna” le rispondo “Mandami tue notizie, se puoi”. Entrano nell’ascensore ed escono dalla mia vita. Mi giro e sono davanti alla sua porta. Dietro di essa è rimasta, palpabile, quell’atmosfera…

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