Il cinema e la vita
Di Nerina Garofalo
Da bambina, fino alla fine delle scuole elementari, giocavo spesso con cugini e cugine, e amichette di quartiere, ma più spesso vagavo per casa giocando da sola. Essendo sempre stata, anche da piccola, consumatrice di prodotti televisivi (cartoon, ma anche film e sceneggiati), spesso inventavo esistenze alternative. In una, ad esempio, influenzata dalla vita dei minatori di “E le stelle stanno a guardare”, occupavo la cucina di mia madre e preparavo lunchbox per un ipotetico sposo prossimo alla discesa nel carbone. O anche, dopo aver visto Metello, Salvo D’Acquisto, Kapò, La ciociara, Roma città aperta, e via andare, fantasticavo di eroi della Resistenza, e di guerre nelle quali, in fin dei conti, essendo parte che vedeva e raccontava, io restavo incolume e viva.
Una linea di demarcazione nelle mie certezze politiche, oserei dire un prodromo della mia passione per la scrittura e la vita della Duras, fu la visione de La califfa, con una Schneider favolosa, ed un Tognazzi magnifico.
Ripensavo a tutto questo in questi giorni, sentendo del crollo vorticoso delle azioni di Netflix e di altre piattaforme di streming a pagamento. Vero è che vengon meno gli abbonamenti dei russi, ma questo non sembra bastare a giustificare. Ora, durante la Pandemia gli stessi abbonamenti sono cresciuti oltremodo, andando ad arricchire quel passo fatale che ci porta a ripensare il cinema e la tv come servizi e piattaforme on demand. Ora, cosa succede in questi mesi di guerra, tale da distrarre gli abbonati dalla loro passione oppiacea per le serie tv? Riprende piede, io credo, il sentimento dell’informazione, che in qualche modo era confinata in pandemia per il grosso al bollettino delle 18 e alle dirette stra/ordinarie, e che oggi invece si nutre di una diretta quasi costante, di una ripetizione continua, di un allineamento al sentimento della guerra o della pace, o della guerra per la pace. Io stessa, che non seguo La7 in modo particolare (anzi), mi trovo alle 5 a tener acceso per due ore e mezzo il canale, oramai trovando che la diretta di Mentana sia una delle cose migliori che si trasmettono in merito al conflitto. Anzi, soffro assai di recente della ripetitività dei servizi su SkyTg24, che pure reste il mio TG di riferimento.
Cosa collega i miei giochi di bambina con la mia fruizione continua di notizie sul conflitto? Io credo li colleghi la speranza di essere di fronte a qualcosa che se visto e narrato accade proprio lontano da noi. Qualcosa di filmico, di mediato, che da un lato ti trascina nel pensiero, nel dolore, nell’orrore, nel desiderio di fare, e dall’altra, in quanto cosa offerta da una narrazione visiva, fa di te un protagonista di qualcosa che vuoi conoscere senza rischiare la vita. Rassicurato/a anzi dalla certezza del tuo altrove. Perché lo scrivo? Perché a questo si ricollega, io credo, parte del pensiero pacifista, che si nutre alla bellezza di un racconto che vogliamo finisca bene, e controlliamo con passione e fiducia e speranza e carità. Quello stesso che ci dice che il pacifismo lo andiamo domani a dichiarare (andate, io non sarò con ANPI né col il nostro Presidente di VIII Municipio che sfilerà con loro) utilizzando una ricorrenza che non esisterebbe qualora non ci fosse stata Resistenza armata a far cadere il fascismo.
Quella stessa annuale situazione che ogni volta esclude la Brigata Ebraica, perseverando in un fraintendimento inammissibile. Poiché l’antifascimo è la bandiera di noi tutti, dovremmo forse arrivare a un confronto su cosa sia davvero costruire la democrazia, una democrazia inclusiva e potente, in un mondo che non vive di simboli di pace, ma di conquiste e di lotte.
La guerra è orribile, non la vuole nessuno. Ma la pace si costruisce, si restituisce, si protegge, a volte con le armi. Cosa pensiamo (cosa pensate) di ciò che rende rosso di sangue Israele, rossa di sangue la Palestina, da decenni? Pensate forse che Valzer con Bashir racconti di una ipotesi di pacifismo da portare fuori dal sogno in mezzo ai cani randagi?
Aveva ragione Céline, l’amore è “l’infinito dato ai cani di strada”, e il cane è un animale bellissimo, generoso, accudente, capace di difesa.
Per questo il Papa dichiara la pace come compito in terra e la guerra ai pensieri di guerra, perché riflette la realtà ulteriore che rende nella guerra differenti dai macellai, e non fa della guerra un genocidio. Io credo, continuo a credere, che ci siano margini per vivere la pace, ma che per far questo, con tutto quello che accade nel mondo, noi si debba saper fare la guerra che serve.
Una guerra umana, che resta umana, che tutela i diritti dell’uomo, della persona. Dei popoli. Non avreste difeso con le armi il corpo di Regeni, il corpo di Baldoni, e tutti quelli che come loro hanno lasciato la vita in mezzo a una guerra disumana (anche quando non la si vede)? Non difendereste con le armi il diritto alla fuga dallo sterminio? Dovreste allora, disarmati, mettervi sui confini, entrare nel film, stare fuori dalla narrazione vostra e altrui, e restare nella verità della nostra finitezza.
Non so voi, ma io la Resistenza me la sento come un dovere quando l’orrore prevale. Posso accettare di passare da cattiva, da pessima credente, da belligerante, sentendo la coscienza a posto. Sarà meno marketing, ma credo maggior coerenza, a dire del nostro umano stare nei mestieri della terra.
Con lo sguardo al bene, al rispetto, al restare umani. Molti dei pacifisti di oggi hanno inneggiato al trascinamento dei cadaveri dei dittatori, penso a tanti amici in Calabria. E, onestamente, questo è assai meno umano di un’arma che colpisce.
E così, se andate alle fosse Ardeatine, cosa pensate di via Rasella? E del partigiano che mia madre (dice lei da sempre) vide scendere da una canna fumaria dell’albergo subito dopo devastato dalla rabbia fascista e tedesca?
Io ho una profonda, profondissima pietà per la memoria di quell’uomo, e delle vittime delle Fosse Ardeatine. Eppure, la Resistenza e la guerra fanno i conti con quello che non si può prevedere.
Se domani manifestate contro una Resistenza armata, allora forse dovreste avere il coraggio di dire che sconfessate quell’attentatore, e tanti altri in quegli anni.
Spiegatemi dunque la vostra idea di antifascismo, io ascolto…