“I miei diritti: esistenza e legittimazione” Mamma era un’insegnante di italiano.
Nuova tematica anche per il mercoledì, dedicato a Diritti e società; sarà la volta della rubrica
“I miei diritti: esistenza e legittimazione”.
Inauguro questo primo mercoledì di gennaio con un pezzo autobiografico di Lisa Manno Sforza.
Veramente efficace la scrittura di Lisa.
Buona lettura!
La figlia femmina specialmente se è la maggiore diventa l’assistente della mamma e la cameriera del padre.
Queste piccole mamme in erba ,addestrate già dall’infanzia a prendersi cura degli altri e a ignorare i propri bisogni, dovranno fare un lungo percorso di consapevolezza per riacquistare l’autostima e la libertà negate.
A queste bambine è negato il diritto alla spensieratezza e il diritto al rispetto come individui.
La violenza oltre che fisica, è anche la negazione di una vita serena, l’assenza di un luogo ,la famiglia, dove potersi rifugiare e sentirsi accolte e riconosciute.
Mamma era un’insegnante di italiano.
Partiva da casa, per andare a insegnare, la mattina alle cinque era buio e c’erano le stelle in cielo.
A quei tempi i mezzi di trasporto erano pochi e scomodi. Per raggiungere la scuola, una carrozza la veniva a prendere sotto casa e la portava alla stazione ferroviaria, li prendeva poi una littorina, un treno in uso allora fatto da un solo vagone.
Una volta giunta a destinazione, prendeva un’altra carrozza che la portava fino alla sua scuola.
Ti ricordi papà, tu non solo non badavi a me, ma non eri nemmeno capace di mettere una pentola d’acqua sul fuoco, abituato com’eri, maschio viziato da madre e sorelle, che ti avevano sempre servito; con quell’idea fissa, anche se mai dichiarata apertamente, che le donne dovessero essere le serve degli uomini.
Non solo non l’aiutavi mai, ma pure la sgridavi sempre per qualcosa, ti facevi consegnare il suo stipendio fino all’ultima lira e poi le lesinavi il centesimo per ogni cosa e la costringevi a studiare tutte le sere per prepararsi a partecipare al concorso a cattedre che lei vinse ma così la sottraesti alla mia infanzia.
Quando arrivò la sorellina io avevo 7 anni, la gioia per la sua compagnia fu anche un grosso fardello per me. Spesso ero io a dover badare a lei, mamma o era a scuola o studiava o aveva l’emicrania.
Una sera di primavera, cosa rara, tu e mamma usciste per fare una passeggiata sul lungomare, o forse andaste al cinema, ritornaste tardi. Io e Laura rimanemmo a casa da sole. Lei aveva poco più di un anno, la casa era vuota ma piena di rumori.
Erano i rumori del vento, che dalla parte del mare, si insinuava sotto le finestre, noi ci eravamo rifugiate sul balcone che dava sulla strada e avevamo la compagnia dei pipistrelli, uscivano a frotte dalla vecchia chiesa abbandonata di fianco alla nostra casa, lanciavano i loro segnali sonar e svolazzavano ad un palmo dal nostro viso. Io ne avevo paura, con in braccio la piccola, stavo seduta sulla seggiolina e con la faccia ficcata tra le sbarre della ringhiera, guardavo la strada aspettando in ansia il vostro ritorno.