“I miei diritti: esistenza e legittimazione: “La matematica è vita
“I miei diritti: esistenza e legittimazione”.
Riconoscere le emozioni e dar loro cittadinanza
Ilaria Goffo ci invita a sapere ascoltare sè stessi, scrollandoci di dosso i pregiudizi che ci siamo costruiti nel tempo.
La matematica non insegna le emozioni, mi viene detto, vi sbagliate, ma non poco, tantissimo.
Partiamo dal presupposto primo che se riesci a farla amare, già hai attivato un percorso emotivo, di crescita e motivazione verso la disciplina in questione.
Poi in secondo luogo, io credo che conoscere la realtà che ci circonda, sapendola organizzare, classificare e ordinare già dà un senso di maggior sicurezza ed equilibrio a chi apprende, permettendo di avanzare, di sbagliare e anche, certo, di ritentare e andare avanti.
La matematica è processo mentale, quindi ci insegna a procedere, e il termine stesso “procedere” indica che ho delle basi, dei punti da cui partire per avanzare nel mio percorso di conoscenza, nella mia vita quotidiana, nelle situazioni di ogni giorno, affrontando “cifre” laddove mi si pongono, numeri laddove ci sono o sono nascosti, celati e pronti poi a essere scoperti.
Se calo la mia riflessione nelle prime classi della scuola primaria, penso all’emozione nel prendere in mano dei sassolini, contarli, osservarli e iniziare a ordinarli in gruppi/insiemi, giocarci e poi mescolarli, dividerli e unirli di nuovo, e poi alla fine gioire dicendo “ho capito”, “EUREKA”, “HO SCOPERTO”, ma ho scoperto io giocando, sperimentando, toccando, sbagliando, facendomi le prime domande “come lo metto questo sassolino?”, “dove lo metto in questo insieme o resta fuori?”.
Contare le finestre della mia casa, le mattonelle su cui cammino, i gradini delle scale su cui salgo, sono numeri calati nella realtà, che escono dal quotidiano e che mi permettono di muovermi e di descrivere più accuratamente ciò che mi circonda: al terzo gradino c’era un gatto disteso o sulla settima finestra di casa mia c’è una tenda tutta a fiori.
Emozionarmi nel capire, provare anche sconforto se non riesco, ma poi provare e riprovare, e provare gioia e soddisfazione nell’aver capito, e dire “Evviva ci sono riuscito/a!”.
Mi è capitato di osservare in una bambina, come può essere in tanti altri, la difficoltà nel calcolo veloce: era triste, sconfortata. Abbiamo riprovato assieme, abbiamo scoperto strategie per farlo, alla fine lei mi ha detto con gli occhi pieni di soddisfazione: “maestra sono felice, ho capito!”
Io ero ancora più felice di essere riuscita a spiegarglielo. Anche per noi insegnanti è un campo di sperimentazione, di scoperta e di studio. Quando insegno una disciplina, non mi fermo a quello che so o trovi sui libri di scuola, cerco ancora, leggo, faccio ricerca, trasmettendo ai piccoli questa modalità di scoperta partendo però dalla realtà che li circonda, a estrapolare loro la regola da quello che hanno davanti.
La matematica è vita: è il risultato dopo un processo, è chiedere per trovare un aiuto, provare, sbagliare e riprovare. E’ il tentare una soluzione, una strategia piuttosto di un’altra, e poi ditemi che non insegna le emozioni? Abituati ad avere sempre tutto pronto, ad avere tutto facile, tutto servito, dobbiamo abituare anzi riabituare le nuove generazioni a scoprire, perché in loro si svilupperà la scoperta, la motivazione e la gioia e la soddisfazione di averlo fatto da soli, guidati, ma da soli.
A mio avviso, comunque, non c’è disciplina o campo di vita che non insegni le emozioni, tutto ci insegna a farci delle domande, è l’approccio che deve essere trasmesso da noi adulti alle nuove generazioni. Non deve essere passivo: questa cosa te la spiego così, perché è scritta sul libro, no assolutamente, scopriamolo insieme, facciamoci delle domande e proviamo a rispondere. L’autostima si insegna così, lasciando al bambino sperimentare, sbagliare e riuscire. E se sbaglia? Ben venga, ha imparato a cadere per poi rialzarsi