Focus sul mondo: Iran come Italia?
Di Marina Agostinacchio
Hadis Najafi, di appena 20 anni, è stata uccisa in questo mese di settembre,dalla polizia iraniana, durante le proteste nella città di Karaj, vicino a Teheran, proteste scoppiate in Iran dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini, uccisa perché non indossava il velo correttamente.
Hadis rappresentava l’emblema della protesta per il suo modo coraggioso di porsi di fronte alla polizia: senza velo, “contraria all’hijab obbligatorio e alle leggi discriminatorie della Repubblica islamica”.
Ma noi, indignate e indignati, al cospetto di situazioni così gravi nei confronti delle donne, ci schieriamo con estrema immediatezza contro usanze e culture che riteniamo primitive. Quindi, se da un lato penso che notizie del genere debbano farci tenere vigile la coscienza affinché possiamo esprimere con forza il primato del rispetto, della dignità, della ragione, come la mettiamo poi con quanto avviene qui, in casa nostra, con i delitti, che ci dicono avvenire al ritmo di uno ogni tre giorni, sulle donne?
L’Iran come l’Italia o come qualsiasi altra terra del pianeta sembrano dialogare con lo stesso alfabeto dell’uomo della caverna. Si puniscono, le donne, per atti ritenuti trasgressivi, perché decidono di andare via di casa, perché vogliono vivere una vita autonoma…
Pensiamo che in Italia fino ad appena quarant’anni fa l’uomo che uccideva la moglie per offesa recata «all’onore suo o della famiglia» veniva giustificato in quanto viveva all’interno di un sistema culturale che lo poneva al vertice di una concezione di rispettabilità sociale e pertanto egli poteva beneficiare sul piano giudiziario di considerevoli sconti di pena. Fatto di apprezzamento e comprensione era lo sguardo benevolo della gente verso il “Maschio vendicatore”. È stata la legge n. 442 del 5 settembre 1981 a cancellare dal codice penale italiano il delitto d’onore.
Fa veramente rabbrividire il pensiero di come ancora oggi ci si ritrovi a leggere in comunicazioni pubbliche messaggi che indulgono sui violenti e colpevolizzano le vittime. E a volte siamo proprio noi donne ad armarci di parole caustiche nei confronti delle stesse donne che subiscono atti di sopruso, cattiveria, annientamento.