Fare scelte sane di vita non è sempre facile.”L’AMICO FILTRATO” di Enrico Ravasio
Essere se stessi: la difficoltà di trovare una via di soluzione ai propri problemi.
“Voglio smettere di bere”.
Così potrei rimodulare il titolo del racconto di Enrico Ravasio; una storia che ci parla di vicinanza, discrezione, accoglienza dell’altro nel rispetto di una scelta di vita diversa dalla propria.
Enrico ci accompagna, con le parole, in uno dei vicoli pericolosi di esistenze precocemente “in discesa”. Falco, una conoscenza giovanile, ritrovata negli anni, attraversa esperienze distruttive pur restando, agli occhi dell’autore, dignitoso, lucido, arguto, secondo l’impressione che ne riceve lo scrittore.
Ravasio, come sa fare con tratto di scrittura elegante, chiaro e misurato nell’esprimere sentimenti ed emozioni, lascia al lettore quel tanto di intuizione, bastevole a fare cogliere la fine di una vita.
L’AMICO FILTRATO
Sarebbe meglio tornare a casa presto invece di lavorare fino a sera inoltrata.
Me lo ripetevo molto spesso.
Peraltro, così facendo mi capitava di incontrare Falco, che mi salutava e mi accompagnava come se fossi un vecchio amico.
Non eravamo poi tanto amici, semplicemente ci eravamo conosciuti quando avevamo i capelli folti e di un intenso color nero.
Facevamo parte degli studenti che alle sette e venti prendevano il pullman per andare al centro scolastico omnicomprensivo: liceo scientifico, ragioneria, geometri, agraria; un piccolo gruppo schiamazzante già di prima mattina e che faceva sorridere gli operai, distogliendoli dalle conversazioni di sport, politica e spettacoli televisivi.
Falco aveva un’intelligenza brillante, era spiritoso ed appassionato di musica; una mattina inserì nel registratore una cassetta di musica marocchina, allora materiale rarissimo, che si era procurato in modo misterioso e mai svelato e le strane melodie attirarono l’attenzione generale, pur essendo il volume contenuto volume: nacque una piccola leggenda metropolitana.
Falco aveva conservato l’estro giovanile ma smise di lavorare e si trascinava quotidianamente nello stesso barettino, dove alcuni avventori erano accettabili fino al crepuscolo, cioè quando non avevano superato i due bicchieri, altri, invece, quando avevano il metadone assicurato a prescindere dall’orario.
Nella sua spirale di decadenza aveva comunque conservato una certa dignità ed era uscito dal burrone dell’eroina senza abbruttirsi, almeno in apparenza, e senza perdere lucidità ed arguzia.
Egli stesso mi raccontò le sue vicissitudini una sera che ci incontrammo casualmente e disse di essersi finalmente ripulito e di aver lasciato la comunità; io fui preso di sorpresa perché parlava come se sapessi tutto, mentre avevo solo qualche sospetto, e mi congratulai.
Negli anni successivi i contati furono sporadici ed occasionali, poi tornò al barettino entrando nel mondo delle sbornie costanti; lo incrociai una sera e me ne accorsi immediatamente.
In seguito, notai che cercava di evitarmi però i miei orari peggiorarono e gli incontri aumentarono mio malgrado, finché una sera mi fermò e riprendemmo le conversazioni, che sono durate fino ad oggi.
Non c’è stata una nuova fase di rinascita, finora: lo vedo immancabilmente filtrato, che è un’espressione grezza e irriverente ma efficace, e non potrebbe essere diversamente; quando ci incontriamo il crepuscolo è lontano quindi i primi due bicchieri sono già passato remoto e lui sta arrancando verso casa.
Non è così evidente che ha fatto strage di cocktails perché il discorso fila e scherza anche sul divorzio; a volte menziona il figlio ma, curiosamente, non ne parla esplicitamente; in realtà definirle conversazioni è azzardato perché parla quasi solo lui, ma la voce è troppo alta e qualcuno sbircia dalla finestra.
La mia empatia si ritrae istintivamente di fronte alla considerevole quantità di alcool che ha ingurgitato ma rimango ugualmente ad ascoltare il suo eloquio eccitato sotto la luce dei lampioni, poi si scostano altre tende e Falco si congeda perché si vergogna; torna a casa definitivamente e segue tutti i possibili dibattiti televisivi (ci tiene molto ad essere aggiornato).
Mi chiedo cosa ne capisca visto che è mezzo rincoglionito e non immagino cosa possa condividere con gli avventori del barettino: magari ne parla nel mezzo di un’accorata discussione sugli effetti collaterali dell’interferone.
Falco non cena perché i cocktails gli hanno riempito lo stomaco, sommati a tutte quelle piccole cose appetitose e poco salutari; forse è un metodo che ha escogitato per ridurre drasticamente le sue spese, dopotutto buona parte delle sue limitate risorse sono investite in bicchieri colmi.
Il venerdì è il giorno peggiore perché è dedicato alle birre; per qualche inspiegabile motivo si sentono obbligati a berne moltissima, con effetti prevedibili, e cambio sempre strada per evitarlo altrimenti la conversazione sarebbe psichedelica e probabilmente gli direi che è un’idiota.
Sarei anche tentato di rammentargli che tempus fugit e, magari, citerei le parole strascicate di quel blues che ascoltammo per molte mattine sul pullman ma che lui non ricorda più, è passato davvero tanto tempo.
Io invece lo ricordo bene, è un brano struggente e la strofa finale trasuda dolore.
Voglio smettere di bere
Lo so cosa stai pensando
ma io voglio smettere di bere.
Un giorno.
“Un giorno” è un lamento lentissimo e dilatato che fa venire i brividi.
Ho pensato di farglielo riascoltare ma sarebbe una cattiveria.
So già che lo vedrò mercoledì, il giorno dove finisco di lavorare molto tardi, mentre cerca di camminare normalmente e mi saluterà cordialmente, come al solito
Ascolterò il suo parere sul nuovo governo e magari un paio di aneddoti sul divorzio; il tono della voce sarà alto, troppo alto, e qualcuno scosterà le tende per guardare; Falco allora, per coprire l’imbarazzo, dirà “non voglio tenerti qui troppo, vai a cena”.