Ilaria Goffo
“… Non perdere il contatto con le radici”
Voci che raccontano, voci che sussurrano, voci che fanno compagnia durante il giorno… e perché no, voci che ci accompagnano di notte.
Come “Passeggeri notturni”, (parafrasando un libro di Giancarlo Carofiglio di cui è stata rielaborata una sceneggiatura televisiva), per chi narra e per chi ascolta, siamo “Voci che risuonano nell’oscurità” nel silenzio inerte, costretto da uo strangolante tran-tran quotidiano.
Accomodiamoci, allora, in noi stessi per leggere questa meravigliosa pagina di Ilaria Goffo.
Quanta innovazione, quanta tecnologia, quanta multimedialità …
Cosa abbiamo guadagnato e cosa abbiamo perso? Abbiamo guadagnato tanto da molti punti di vista, ma abbiamo anche perso molto: la relazione.
Già con l’avvento della tv si è perso il racconto, la trasmissione diretta delle informazioni di generazione in generazione: gli anziani che raccontano vicino al camino tradizioni, storie popolari, la loro vita per insegnarla ai giovani, ai più piccoli.
Cosa manca oggi? Il racconto, quel tipo di racconto, connotato di emozioni, di vita, quel riunirsi intorno ad un camino e ascoltare. Oggi siamo capaci di ascoltare?
Abbiamo voglia di ascoltare chi è più anziano, perché gli riconosciamo un grande valore umano e una ricchezza, perché ha un vissuto da raccontare da cui si può imparare?
Ci sono autori/scrittori che raccontano storie nei loro libri e attraverso di essi chi legge impara, “ascolta” indirettamente delle storie. Alle presentazioni di libri, l’autore racconta e tutto questo ha un gran fascino per chi ascolta e si immedesima nelle situazioni descritte. Quanta meraviglia!
C’è voglia di sapere, c’è il desiderio di conoscere e c’è voglia si sentire col cuore: sentire parole che possano toccare, che, proprio perché raccontate, creano in chi ascolta un fascino ineguagliabile.
Dovremo forse riproporre il filò, MA IN MODO AUTENTICO: COSA INTENDO?
Si va per esempio a mangiare nei boschi: leggo talvolta notizie come cena organizzata tra gli alberi di montagna. Tavoli, sedie, catering, luci, ma mi chiedo quanto sia autentico andare a disturbare gli animali del bosco e gli alberi. Poi si creano enormi eventi letterari nei posti anche più inconsueti.
Questo non è genuino né naturale, è creare artificio dentro qualcosa che ha già il suo equilibrio e perché? Per creare l’evento da pubblicizzare?
Non è questo che voglio tramettere nel mio articoletto: tornare a fare filò, vuol dire semplicemente tornare ad ascoltare gli anziani che abitano vicino a noi, che fanno parte delle nostre famiglie o che non ne fanno parte, ma hanno voglia di raccontare.
Certo, si devono creare le situazioni: una biblioteca o un centro culturale può organizzare l’evento, non deve per forza essere qualcosa al di fuori dal comune, perché dovrebbe essere la quotidianità e i bambini, i piccoli hanno bisogno di questo contatto transgenerazionale come gli anziani ne hanno bisogno, tutti noi ne abbiamo bisogno, per non perdere il contatto con le radici.
Se gli anziani non ci raccontano più, abbiamo i libri, ma i libri preziosi quali che siano,, non sostituiranno mai la comunicazione dei sentimenti, lo scambio di sguardi, il movimento delle mani, la fotografia di quelle rughe sul volto che sono così preziose, così belle perché “raccontano” di quella persona e del suo vissuto. Perché ad ascoltare ci si commuove, dal latino “spingere”, “smuovere”, “suscitare”.
Siamo una società che, ancora più di un tempo, è bisognosa di commuoversi, o forse meglio di educare alla commozione, alla partecipazione del sentimento altrui. Abbiamo bisogno di persone autentiche, che non necessitino di un tavolo con telecamere e luci in mezzo ad un bosco o sotto grandi riflettori, abbiamo bisogno di tornare a “essere”, a “essere umani”, a rispettare chi è più grande di noi perché ha vissuto e perché può insegnarci a non fare gli stessi sbagli.
Leggere libri che raccontano storie del passato dei nostri antenati è essenziale, ascoltare le loro vita è una nuova necessità.
Avete mai visto gli occhi di chi racconta la sua storia?
Io non ho avuto la fortuna di sentire i racconti dei miei nonni, per esempio, che avrebbero di sicuro avuto tanto, tantissimo da dirmi, mi avrebbero resa più forte e saggia, più forte soprattutto.
Mi manca, mi manca quel filò intorno ai “miei nonni”. Pensate a chi ha la fortuna di averli in vita e di poter stare a sentirli, a farsi raccontare storie vere, le storie quelle che si raccontano con gli occhi, con i movimenti di tutto il viso, di ogni piccolo spazio del viso. Ogni ruga un racconto, ogni ruga un vissuto.
Io lo dico come imperativo “torniamo a farci raccontare le storie” perché i cellulari, la televisione, i social media non sostituiranno mai ogni ruga colta su un viso, né il tremore delle mani di chi si commuove a raccontare di sé.
Ogni anziano serba in sé un patrimonio che va rispettato e tutelato come qualsiasi altro bene, espressione della cultura in senso lato. Gli anziani sono cultura e dunque “TORNIAMO A FARE FILO’”.