Lo scritto di Patrizia Anconetani si snoda in spazi mentali di intimo colloquio.
Di Giulia resta un monito, per tutte noi, a non demordere, la volontà di tanti di volere cambiare le cose.
Essere se stesse: GIULIA, di Patrizia Anconetani
Quando entro in cucina ti vedo lì, un rettangolo di pochi centimetri di lato, a colori, appoggiata alla parte alta del camino, come una foto tra le foto, un pezzo di famiglia. E forse un po’ lo è, la famiglia allargata delle donne, del senso della vita e della morte, della vicinanza che ci stringe a chi non abbiamo mai nemmeno sfiorato. O forse si.
Vivevamo nella stessa città e sarà capitato di esserci trovate pigiate sullo stesso autobus, incrociate a passeggiare lungo uno dei numerosi e bellissimi argini, con lo stesso sguardo sognante mentre mettevamo in fila i ricordi e coloravamo nella mente i sogni.
Siamo troppo distanti, come età, potresti essere mia figlia, la figlia di mia sorella, una studentessa di un corso. Mi piacerebbe averti avuta ad uno dei miei corsi, da ciò che ho sentito eri capace di porti di fronte alle conoscenze con curiosità e voglia di approfondire, rendendo l’incontro non una lezione ma uno scambio.
Mi guardi da quella foto con un sorriso un po’ sornione e forse timido, lo sfondo tra l’arancione ed il bordeaux, hai in mano dei fiori e sorridi.
Come sei finita qui cara Giulia? Come sei diventata una foto su un camino da guardare, a cui sorridere la mattina quando le cose sono storte per poi capire che storte non lo sono affatto ed i miei malumori valgono zero al cospetto del dolore vero.
Il tuo e quello dei tuoi cari.
Pari solo al loro coraggio.
Ti ha portata mio marito, era in servizio il giorno del funerale e, al ritorno, ti ha messa lì, e lì sei rimasta, con noi. Sembra strano no? E forse anche triste. Ma ho sempre pensato che la vita vera delle persone finisca nel momento in cui smettiamo di parlarne, e non è una classifica, nel femminicidio non ci sono vincitori, è la guerra persa di tutti, della società che non è riuscita a crescere fiori sani.
Quindi il mondo dall’altra parte non è la fine di tutto, è un passaggio, un’eredità lasciata a chi resta per portare avanti messaggi, pensieri, battaglie, racconti in tutte le lingue e modalità in cui siamo capaci di farlo.
Non sto parlando di religione, né di culti animisti, sto parlando di come viviamo ed immaginiamo ciò che non conosciamo e mai conosceremo nel senso materiale che siamo abituati a sperimentare, di quanti gradi di libertà possiamo usare quando siamo soli con noi stessi, nel dialogo con chi non è più dentro alle nostre mani e ai nostri abbracci.
E quindi ti parlo con il pensiero, ti parlo per tenerti con noi anche se per te non siamo nessuno, ti teniamo da parte un posto nei nostri giorni, nella colazione del mattino con il suono del caffè che sale, nell’abbaiare del cane dopo la passeggiata quando esige il suo pasto, nella stanchezza della sera e nei giorni in cui come oggi, mi concedo il tempo si trasformare in parole le idee che girano nella testa, nelle notti di sonno che non arriva e nelle ore a cucinare “qualcosa di buono” che riempie la casa di odori accoglienti, negli scontri e nelle incomprensioni, nelle riappacificazioni, nei progetti di viaggio e di futuro, nelle chiamate con le amiche e nei silenzi.
Sei così tanto di più di quella foto, sei dentro ad un paio di scarpe rosse vuote, su un piazzale troppo grande. Scarpe rosse sportive, con i lacci da fare a fiocco, un po’ donna, concreta e capace di focalizzare sugli obiettivi e forse ancora un po’ bambina nei sogni.
Ce ne fossero di sognatori, per esorcizzare tutto questo devastante cinismo.
Quanto potere ha un sorriso di fronte ad un muso duro? Bisognerebbe fare la prova, scioglie il ghiaccio più duro. A volte non basta ma apre una strada, uno spiraglio, sufficiente a far entrare un po’ di luce.
Sei quello che non avresti dovuto essere. La vita meritavi di viverla perchè avresti portato avanti progetti e lasciato il segno comunque, chi te l’ ha tolta non è riuscito a nascondere quello che sei stata e che ancora adesso cambia le cose. Le cambierà, ha unito un paese, forse salverà qualcuna, insegnerà qualcosa, sta già dando avvio a percorsi di formazione e presa di coscienza di fronte a questo orrendo crimine.
Ma tu se fossi qui nemmeno lo rimprovereresti, troveresti comunque il modo di capire, di perdonare, di dare un senso all’insensato.E così sei diventata anima, lo sguardo chiaro che consola, la mano che accarezza gli occhi di chi vive la paura, un piccolo fiore in un angolo dei pensieri che riesce a fare compagnia, tepore, silenzio buono, luce che non si affievolisce, nuove battaglie da combattere lasciate in eredità con un filo sottile e potente.
Ecco, ti ripasso davanti e sei ancora lì, come se avessimo parlato, come se mi avessi ascoltata, nuova amica che non conosco e fa già parte di me.