Donna, vita, libertà-“Mamma era un’insegnate di Italiano” di Lisa Manno Sforza
Donna, vita, libertà
Meravigliosa questa testimonianza di una figlia ancora innamorata del ricordo della madre.
Mamma era un’insegnate di Italiano.
Classe 1923 tra le pochissime donne italiane, meno del 2%, che nel 46 erano laureate.
Resterai comunque nei pensieri e nel cuore, io mi ricorderò del tuo odore, delle tue mani e delle ballate di Chopin che suonavi al pianoforte a casa dei nonni quando io ero piccola. Delle poesie di Carducci che amavi particolarmente declamare e dei brani dei Promessi Sposi che mi citavi come esempi di vita.
Mi ricorderò il nome di tutti i paesi della provincia, che eri costretta a percorrere per svolgere la tua professione di giovane insegnante di Italiano e storia, mentre io ti aspettavo da sola a casa al ritorno da scuola.
Di tutti quei giorni che fuori dalla mia scuola non c’eri, perché eri lontana a lavorare.
Di tutti i quattro in latino che presi, perché tu non potevi aiutarmi e della vergogna che provai al pensiero di poter essere rimandata pur essendo la figlia di una professoressa!
Sono in una casa vicino al mare.
Dalla finestra lo vedo…
Il mare.
Non sono nata in una città di mare ma esso ha sempre fatto parte di me,
degli elementi della mia vita.
Così come è della mia vita, non so se lo amo o lo odio.
Per tanti anni l’ho abbandonato.
Sono dovuta andare a vivere in pianura: mare relitto.
E lui lo vedevo di rado, a volte solo
d’estate.
Il suo distacco mi provocava una gran malinconia, era come una perdita dolorosa.
Chi sei?
mi diceva sommesso.
Non ti riconosco più,
mi hai abbandonato e
ora sono io che non ti voglio.
Va via,
torna alla tua pianura: mare fossile.
Poi,
violentemente,
è rientrato
a far parte della mia vita.
L’ho girato e rigirato in lungo e in largo, ho cercato di parlargli,
di carpire i suoi segreti,
di leggere i suoi segni,
di capirlo.
A volte mi è stato amico,
più spesso infido,
come un nemico che voglia la tua pelle.
Quando ero bambina vivevamo al mare.
Mi piaceva molto, a cinque anni avevo imparato a nuotare da sola, guardando i ragazzi più grandi e soprattutto imitando una che era andata a fare scuola di nuoto, guardando lei, imparai gli stili,
farfalla, delfino, crawl, dorso, rana.
Spesso capitò che me ne andassi al mare da sola, da quando aprirono la spiaggia di Mercatello e misero il filobus per arrivarci.
Si, Mercatello era allora una frazione, ora fa parte della città, ma era impossibile andarci a piedi.
Noi abitavamo in quel rione un po’ in alto, su una collinetta, era il “rione mutilati”, chiamato così perché c’era una casa del fascio per i mutilati.
Appena misero il filobus, alla spiaggia del Porto non andammo più, li la sabbia era quasi nera, c’erano particelle ferrose, e se non correvi fino all’acqua, ti ustionavi i piedi, non c’erano ancora le ciabattine di plastica.
La battigia aveva un gradino di un metro e poi sprofondava e l’acqua diventava profonda, troppo difficile per imparare a nuotare.
A Mercatello alla domenica ci andavamo io e te, tu in settimana non eri mai libera, insegnavi l’italiano, ogni anno in una scuola diversa, ai limiti a volte di quella provincia scalcagnata di allora al confine tra Campania e Lucania.
La guerra era finita da poco, gli edifici fatiscenti con aule zeppe anche di 50 allievi, per recarti al lavoro dovevi fare lunghi tragitti faticosi che mi raccontavi.
Una carrozza veniva a prenderti al mattino che era ancora buio, la sentivo andar via nel dormiveglia, alla stazione ferroviaria prendevi il treno locale, che si chiamava littorina, arrivata a destinazione te la facevi a piedi fino alla scuola e quando ritornavi finalmente a casa era di nuovo buio.
Quando ripercorro con la mente i tuoi racconti penso che ad un’insegnante come te avrebbero dovuto dare la medaglia d’oro ed un riconoscimento per il lavoro svolto con passione e dedizione e per aver trasformato i tuoi allievi da ignoranti a amanti della lingua e della poesia.
Sono certa che loro non ti avranno dimenticata.
A Mercatello imparai, guardando i movimenti degli altri e imitandoli, prima a stare a galla, spingendo avanti la mia piccola ciambella di gomma a strisce colorate.
Ricordo distintamente la sensazione tattile rassicurante e gommosa della mia ciambella colorata, primo regalo che mi facesti perché anche tu come me amavi il mare.
Mi raccontasti che da ragazza avevi vissuto a Barletta, me ne parlavi sempre con entusiasmo e nostalgia, lo chalet sulla spiaggia con la musica, le lunghe nuotate, eri una discreta nuotatrice.
Papà invece che era di un paese dell’interno della Puglia, il mare l’aveva visto per la prima volta da grande e poi era molto miope e anche se, se la cavava, ché lui se la cavava in tutto…, non amava particolarmente il mare, gli piaceva di più camminare in montagna.
Andare a Mercatello era un’avventura, il filobus straripante, si doveva prenderlo di corsa che quasi non si fermava, perché era sempre gremito e i ragazzini scugnizzi, lo rincorrevano e saltavano dietro aggrappandosi alla sbarra.
Così con il grappolo di 6 o 7 scugnizzi urlanti, si arrivava a Mercatello, io li guardavo dal vetro posteriore con una punta di invidia e di ammirazione e non perché non pagassero il biglietto, ma per la libertà e la gioia che esprimevano, sognavo un giorno di poter fare altrettanto, di diventare audace.
16.3.24
Ormai sono 5 anni che non sei più qui, ma sei sempre nel mio cuore.
Più passa il tempo e più mi manchi anche se sempre più, guardandomi allo specchio di sfuggita, con la coda dell’occhio mi pare di rivederti. Adesso nelle feste ti trovo nelle ricette che mi hai lasciato, piene di suggerimenti e consigli pratici che nessun libro riporta e scritte con la tua bella calligrafia. Ti somiglio un po’ anche se tu eri una principessa e io sono un po’ una contadina, una parte del mio cuore è casa tua. Ovunque tu sia, sei qui con me
Ti ringrazio della vita.