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Diritti e società: Vecchi e vecchiaia

E se non servono proprio più?

Di Marina Agostinacchio

 

“I vecchi hanno solo un diritto: quello di morire.”

“Potrei dire che chi l’ha detto è un cretino, ma invece dirò che è stato utile: ha rotto una ipocrisia, perchè è vero che diamo fastidio. A parole ci vezzeggiano, ma poi ci mettono nelle RSA, prima di metterci nella tomba…L’ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli è l’inferno”.

 

Amara e al contempo realistica la dichiarazione di questa signora che chiamerò Fernanda. Di lei vorrei porre il focus su alcuni pensieri.

Fernanda è una donna di 91 anni, dotata di ironia, come dice lei.

E a sostegno di questa nota caratteristica di Fernanda, la consapevolezza della presenza della morte che la osserva da vicino con artigli, pronta a ghermirla, se non fosse per il fatto che ogni mattina lei, la preda, continua a svegliarsi, ad alzarsi felice.

Gli anziani, di ogni classe sociale, condizione economica, sesso, nel nostro mondo occidentale, sono sempre in maggiore numero.

Danno fastidio, eppure di loro ne abbiamo bisogno.

Penso soprattutto alle donne nonne, alle donne badanti, alle donne bambinaie…

E se non servono proprio più, se non sono di alcuna utilità, ecco che ci soccorrono Istituti adatti a loro: le RSA, ultima stazione della vita.

Fernanda prosegue il suo discorso affermando che i vecchi sono una spesa medica, un peso sociale, per via della pensione, perché occupano posti negli ospedali, perché abitano le case dei fIgli, limitandone la libertà, perché svolgono un lavoro che li tiene in vita, dà ancora un senso alle loro giornate… ma, così facendo, dimostrerebbero di avere un atteggiamento noncurante nei confronti dei giovani cui verrebbero sottratti posti di lavoro.

Potremmo continuare a parlare dei vecchi, facendo anche riferimento agli stereotipi con cui amiamo cristallizzarli.

Non sentono, sono confusi, non hanno l’eloquio sciolto. Così dobbiamo parlare aumentando di parecchio il volume della voce, essere pronti a sostituire o a cercare la parola giusta per loro, portare a termine una frase, un pensiero…e con quanta fatica!

Non capaci di trattenere il tempo, di fermare il tempo, per dedicarlo a una sia pure piccola riflessione, di tanto in tanto, su questi vecchi che sono un dono a qualsiasi età, che ci indicano una strada di saggezza e di luce, che al di là della fragilità di un corpo progressivamente limitato, di una mente che vaneggia, sono persone con un bagaglio di vita passata. Al  nostro dire loro ” Vedrai che vivrai ancora cento anni”, (e capita di sentirlo), un vecchio potrebbero opporre un garbato “No, grazie” . Come a dire che lui e altri vecchi non hanno bisogno di compassione, a meno che questa parola possa essere riportata al proprio significato originario cum- patior, essere nella sofferenza, fisica e/ o spirituale dell’ altro, camminando, noi, al suo fianco.

C’ è una memoria che le emozioni portano a galla e dal magma del nostro tessuto esse vengono in superficie, per diventare ricordo.

Questo ricordo è per loro, i nostri vecchi, vita! Se proviamo a sederci accanto, a riportare alla mente i loro racconti, non diamo loro altri cent’anni di vita ma un tempo che ritorna percepibile dai sensi in una dimensione di durata, quello che scorre nella nostra coscienza e che rende le esperienza non ripetibili.

Fernanda esorta i giovani a una vita piena e dice loro:

«A chi è giovane oggi vorrei dire: “Svegliatevi, informatevi, leggete libri, è una cosa che costa poco, puoi fare da solo e riempie di gioia”. Non è mai tempo perso!»…

 

 

 

 

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