Di Marina Agostinacchio
Diritti e Società: la “cura uguale per tutti”
Francesca Favaro, 37 anni, laureata in Farmacologia all’università di Padova, è una farmacista di Castelfranco Veneto decisa a lasciare il proprio Paese per recarsi in Africa, con l’Organizzazione “Medici con l’Africa Cuamm”; la sua prima esperienza è stata in Tanzania, poi da due anni lavora per Emergency in Sudan, la terra lacerata dalla guerra.
Lì, coordina i rifornimenti e la distribuzione di farmaci per Emergency , dal centro di cardiochirurgia “Salam”- costruito dalla Ong di Gino Strada – a Khartoum, dove lavora con altre 16 colleghe, oltre ad altri dieci colleghi responsabili dei progetti.
La donna racconta lo stato di precarietà del Paese, dice della vita complessa di 700 mila persone che abitano nella capitale sotto assedio.
Queste le parole di Francesca, rilasciate al giornalista Edoardo Fioretto lo scorso 25 Aprile:
«Mi occupo della gestione della farmacia del Paese», racconta. «Quindi non solo quella del “Salam” ma anche a sostegno degli altri tre progetti pediatrici di Emergency a Nyala, Port Sudan e Mayo”… «Sentiamo boati ed esplosioni. Ma c’è bisogno di cure»… «Per fortuna l’ospedale non si trova in centro città, noi ci troviamo precisamente a Soba, a 45-50 minuti dal centro urbano. Ci siamo accorti del conflitto e della situazione “anomala” dall’ospedale. Nonostante non siamo proprio in centro, si possono sentire i boati e percepire le esplosioni. Non sono dei rumori della quotidianità nemmeno in Sudan. Le notizie che riceviamo arrivano ovviamente dai colleghi, dagli amici o dai connazionali che comunque si trovano, sfortunatamente, in centro a Khartoum. Sappiamo che la situazione è tesa, e ci sono zone della città che non hanno acqua potabile, e nemmeno la corrente. Molte attività commerciali sono chiuse».
Immaginiamo per un momento come debba essere vivere tra le bombe e i missili terra-aria che bersagliano quotidianamente un centro abitato, o solo muoversi in alcune zone della città; come sia difficile garantire la sicurezza al personale di un ospedale che lavora all’interno di uno spazio non molto distante da un centro urbano.
In un Paese dove vige un conflitto armato per questioni di oro e di acqua e che vede molte potenze coinvolte, a partire dalla Russia e l’Egitto, la popolazione avverte sempre più la stretta di una morsa oppressiva, sospesa tra orrore e inquietudine; una stretta che mai si allenta e che penetra profondamente anche chi vive nella sofferenza fisica. Così, l’ospedale che dovrebbe essere sicuro diviene campo minato, luogo dove al dolore si assomma dolore, dispiegati ambedue in una circolarità di dannazione.
Ma Francesca trova in sé una forte motivazione e risorse necessarie per continuare il suo cammino, quando incrocia lo sguardo di quella gente provata e offesa nella propria dignità. Infatti dice:
“Però, quando esci dal compound, ( villaggio, area chiusa utilizzata per difendere gli occupanti da aggressioni), per andare in ospedale o in qualche centro di salute, e nel tragitto incroci lo sguardo delle persone, delle donne, pur non parlando la loro lingua, percepisci dal loro sguardo rispetto e gratitudine. In quel momento ti senti ricompensato di tutte le fatiche”.
Spesso sentiamo affermare come donna sia uguale a resilienza. Ebbene, Francesca rivela capacità di far fronte, a livello mentale ed emotivo, a quanto vive giorno per giorno, capacità di affrontare le situazioni di estrema instabilità concreta che le si pongono di volta in volta.
«Lavoro con Emergency da due anni; il motivo che mi ha portata su questa strada, e che mi fa scegliere Emergency ogni giorno, è la pratica di quella che chiamiamo la “cura uguale per tutti”: la motivazione che la convince a rimanere.
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NOTA DI GEOPOLITICA
Da tg24.sky.it › mondo › SUDAN, COSA STA SUCCEDENDO E DA DOVE NASCONO LE TENSIONI SFOCIATE IN GUERRA
Nel 2019, dopo 30 anni di dittatura, al Bashir fu deposto con un golpe. Al-Burhan e Dagalo stavano entrambi dalla stessa parte, contro l’ormai ex presidente. Si instaurò un governo transitorio che avrebbe dovuto portare poi a elezioni democratiche.
Nell’autunno del 2021, Dagalo e al-Burhan unirono le forze per far cadere lo stesso governo civile a cui entrambi partecipavano. Diedero così vita all’alleanza militare del Consiglio Sovrano.
I due si conoscono almeno dai tempi della guerra in Darfur: al-Burhan fu comandante in quel conflitto, Dagalo combatteva direttamente con i sanguinosi janjaweed, (i miliziani filogovernativi impegnati nella guerra civile nella regione del Darfur in Sudan), di cui divenne uno dei nomi principali. Per volere di al Bashir (a capo dell’esercito regolare) furono poi istituite le Rsf, (Rsf, Rapid Support Forces), di cui il vicepresidente Dagalo fu presto comandante. Insieme a loro depredò le miniere del Darfur nel decennio scorso.
Verso la fine del 2022 l’equilibrio precario della convivenza tra Dagalo e al-Burhan inizia a cedere. L’esercito governativo, anche dietro la promessa di ricevere nuovi aiuti economici da parte della comunità internazionale, aveva infatti acconsentito a riprendere la via della democratizzazione che i due leader avevano bloccato l’anno prima.
Si chiedeva però che le Rsf venissero integrate nell’esercito, in un periodo massimo di due anni, così da formare un unico corpo militare. Dagalo, a cui questa condizione non è mai piaciuta, ha proposto invece un processo per l’integrazione dei due comandi più lento, che potrebbe durare in tutto fino a 10 anni.