“Se mi sporco sono felice”
Viaggio nel mondo dell’infanzia
di Ilaria Goffo
Un pomeriggio di sole, pavimentazione esterna della scuola con mattonelle di cemento, una classe piena di energia e un po’ stanca, freddo, aria gelida ma un cielo terso da riempire gli occhi.
Amo il colore, amo lo spazio e qualcuno l’ha capito, leggendo i miei articoletti.
Ho proposto subito ai bambini “oggi coloriamo con i gessetti!!!” e la risposta è stata “evviva!”
Molto di quello che proponiamo deve prima piacere a noi come educatori e, di conseguenza, il nostro entusiasmo si diffonde come luce intorno a noi.
Anche i bambini più restii si sono avvicinati a me per prendere un pezzo di gesso, qualcuno guardava curioso, ma non aveva voglia, qualcuno subito a volerne due, di diverso colore.
Ogni bambino con il suo sentire e con la sua energia pronto a sperimentare con tempi propri su una pavimentazione grigia.
Quanto colore è arrivato subito dal basso per riempire i nostri sguardi.
Un arcobaleno a terra e che sembrava propagarsi verso tutte le direzioni.
Ho riflettuto tutte le volte che l’ho proposto a questa e ad altre classi: perché piace?
Perché disegno quello che voglio, quello che mi va, sono libero da regole, perché mi sporco, mi sporco le mani, il viso, i pantaloni, le felpe, e care mamme non preoccupatevi una lavatrice e il gioco è fatto.
Non sporcarsi perché?
Sarà quel poco di gesso che con una mano va via a creare problemi? Chiediamoci invece quanto sia importante stare fuori dalle mura di casa o della classe, creare esperienze all’aperto.
Quando ero piccola io, eravamo molto all’aperto e i nostri genitori ancora di più. Impariamo dai nostri genitori, dai nostri nonni, ascoltiamo i racconti della scuola di un tempo e dei giochi all’aperto. Ora abbiamo le tecnologie, abbiamo l’aula informatica, certo utilissima, nuovi obiettivi da proporre ai nativi digitali, ma quanta natura offriamo loro? Li riempiamo come vasi di corsi dopo l’orario scolastico, ma siamo sicuri che loro stanno bene? Lo sentiamo? Lo vediamo perché fanno quel corso in più del compagno. Io credo che questi bambini e ragazzi debbano stare più fuori, riappropriarsi di spazio e condividerlo perché fanno fatica a farlo. Lo spazio pubblico dipinto con un murales a gesso perché no?
Quanto sono belli i graffiti, quanto i murales? Guardiamo le città grige e l’occhio fotografa, non solo ma i nostri cellulari scattano subito quel colore sul muro, perché? Perché abbiamo bisogno di colore, abbiamo bisogno di allegria e di uscire dal grigiore della città, dal traffico, dal rumore, per rallentare. Anche i bambini hanno bisogno di sentirsi senza tempi e di condividere un pezzo di gesso, per farli uscire da “questo è mio, è il mio gesso!” ed entrare nella formula “questi sono i nostri gessi!”.
Uscire dalle mura per entrare in uno spazio nuovo da trasformare, da fare nostro; uno spazio da curare con il colore, non da distruggere, uno spazio che renda questa generazione consapevole che in mezzo a loro vi è un educatore pronto a lasciare la loro mano per farli cittadini di domani autonomi e responsabili.
Non è il pantalone sporco sintomo di una scuola che non educa, è il pantalone pulito che ci deve preoccupare, non solo a scuola, ma anche nelle vostre case.