Di Marina Agostinacchio
Spunti di riflessione
Dopo la lettura dell’articolo “L’odio per l’Altro” di Massimo Giuseppe Eusebio (dal giornale online Doppiozero)
In ognuno di noi abita la malvagità. E quanto più ne abbiamo consapevolezza tanto più riusciamo a incontrare l’altro. Il sentimento di odio, la pulsione in esubero che avvertiamo nei confronti dell’altro è espressione del nostro rigettare quello che noi avvertiamo come diverso, estraneo da noi stessi proprio partendo da ciò che sentiamo ingombro in noi stessi e che quindi va espulso. Ecco allora come potremmo spiegare l’atteggiamento oppositivo nei confronti di chi non rientra in uno scenario di pensiero, di costume, di credo… e tutte quelle forme di razzismo, come la xenofobia.
In questa visione di un umano a caccia di un nemico rientra anche una sorta di timore per l’eventuale furto del “mio godimento” da parte del diverso, inteso come anti Io, che sottrarrebbe una parte di intensità di godimento personale. (Franco Lolli)
Tutto viene giustificato in nome dell’odio su chi è di altra provenienza, altra cultura. Donne violentate, ad esempio, spesso individuate come vittime di ” stranieri” piuttosto che di ” nostrani”.
Nell’altro risiede il germe del male e questo pensiero ossessivo ormai fa parte di gruppi o di singoli individui.
Quale il passo per vedere l’altro con quel tanto di emozione capace di fare scattare una misura di empatica fratellanza? Perché spesso l’altro è avvertito come una minaccia, come un alieno nei confronti del quale freddezza o indifferenza non lasciano posto neppure a un tentativo di conoscenza, sorretto da volontà di incontro.
Sconosciuto, dissimile, non famigliare crea angoscia profonda, disturba la mente e la psiche.
È vero che la rabbia, il forte sentimento di avversione nascono dalle ingiustizie che generano esclusione. Eppure siamo sempre noi che per un processo di proiezione e immedesimazione gestiamo la cattiveria giustificandola, cercando il capro espiatorio delle nostre insoddisfazioni, dei nostri errori, riversando quel bubbone malevolo che convive in noi su corpi estranei. Liberati, crediamo di liberare il mondo da quelle che definiamo nefandezze, porcherie, putritudine da cui ci sentiamo esenti.
Scaricare frustrazioni ci affranca da responsabilità singole e collettive. L’ assenza di ascolto e scambio di parola in forma dialogica non fa crescere gli individui, né ci fa evolvere in una dimensione di persona che è nella sua essenza relazione.
Disposizione empatica fa parte dell’intelligenza emotiva (Galimberti). Dunque si tratta di sapere valutare e gestire le nostre emozioni e quelle di chi abbiamo di fronte, all’ interno dei comportamenti ” prosociali”. In tal modo possiamo affrontare e trovare una misura tra la nostra tendenza all’ egocentrismo e all’ individualismo e l’apertura all’ accoglienza del pensiero e dello svelamento dell’ “estraneo” nei suoi aspetti lontani dal consueto di vita più facilmente gestibile.
Distanziare, distanziarsi… Avvicinare, avvicinarsi.
Analfabetismo emotivo… Educazione all’empatia.
Questi i poli su cui riflettere alla ricerca di quel “meglio”, il bene di grado superiore, che ci renda liberi veramente.